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A FIRENZE QUALCUNO NON E' ARRIVATO

04/12/2008

a cura di Andrea Bartalesi

PER UNA VOLTA VOGLIO PARLARE DI CHI NON E' ARRIVATO

A Firenze, alla Maratona di domenica scorsa, ci sono stati quelli che, magari stringendo i denti, sono arrivati in fondo. Altri invece si sono fermati e uno, addirittura, ha dovuto rinunciare il giorno prima. Una volta tanto vorrei parlare degli "sfortunati" perché solo così si possono classificare coloro che non sono arrivati in fondo.
Mi dà spunto a queste riflessioni l'amico Toschi Felice che, incontrato stamani, alla mia domanda del "perché" risponde alla sua moda, andando diretto al sodo.
"Lunedì mattina sono andato dal medico" mi ha risposto " e gli ho detto che durante la corsa sentivo un peso sotto il collo, nel mezzo alle spalle". Si è interrotto con quel sorriso che dice tante cose o nessuna, dipende da chi gli sta davanti. "Mi ha risposto: quello era il peso dei tuoi anni". Ed ha riso con me. "La prossima volta la facciamo insieme, io e te, e ci fermiamo a prendere anche il caffé. Senza furia, leggendo il giornale". Ha detto proprio così ed ho pensato che era invecchiato, ma poi ha aggiunto, quando già lo stavo salutando ".. e se ci viene voglia andiamo a prendere tutti quelli che pensano di andare forte!"
Ecco, questo è il vero Toschi Felice, quello che io conosco da sempre, quello che ha una grinta unica, che lotta contro tutto e contro tutti. E soprattutto con se stesso, con la sfortuna, con il tempo che passa.
Una volta si preparò per la "Marcialonga", era pronto, a Cavalese, fra i tantissimi partenti, sci ai piedi, racchette che spingevano in terra, pronto fisicamente e mentalmente, dettero il via, qualcuno lo urtò o forse lui urtò qualcuno, cadde, si lussò la spalla: la sua ennesima Marcialonga finì lì. Ma l'anno dopo c'era e partì e la finì come tante volte ancora.

 

Franco Fusari invece si è fermato per i crampi. Aveva corso la Maratona di Livorno ed aveva fatto un 3 ore e 53 credo, comunque il suo miglior tempo. Dopo alcune settimane, sull'onda dell'entusiasmo ha voluto provare Firenze, pensando che bastasse l'entusiasmo e l'euforia per correre ancora una maratona. Ma questa corsa è una bestiaccia, ti logora dentro, ci vuole tempo per digerirla e infatti, probabilmente, non aveva digerito il "cacciucco livornese". Ma Franco è così. un po' estemporaneo e imprevedibile: certamente avrà già dimenticato la cosa e sarà pronto per il prossimo appuntamento, brontolando e ridacchiando fra se.

Si è fermato anche Giuseppe Astiani. Meno male. Meno male che si è fermato. Ha avuto giudizio. La prima volta che volle tentare l'avventura non l'ebbe, il giudizio. La giornata di domenica si era presentata con una mattinata da vecchi lupi di mare, e lui, che non era allenato, che da qualche settimana sembrava riposarsi e nemmeno veniva alle corse del Trofeo, si è trovato, forse, davanti un muro che non poteva essere scavalcato. Credo che per Astiani l'avventura con la Maratona non debba ripetersi: i 42 km della corsa sono solo la punta dell'iceberg, dove il grosso, la massa del ghiaccio (nel nostro caso del lavoro) sta sotto, non si vede, sono gli interminabili allenamenti, i lunghi, i lunghissimi. In quegli allenamenti uno prepara non solo il fisico, ma anche la mente per poter correre una domenica mattina 42.195 metri.

 

Per il Bini invece il discorso è completamente diverso. Lui si era preparato, aveva fatto lunghissimi (fino a 40 km). E' uno tosto che sa cosa vuole, anche se si scherniva che gli bastava arrivare in fondo. Ha un suo passo, che attualmente non è veloce, una sua resistenza e sapeva cosa poteva fare. Aveva fatto sacrifici, e ci rideva, in altri tempi aveva altri obbiettivi, ma oggi, cosciente, gli bastava poter arrivare in fondo. E invece non è nemmeno partito da casa. Un dolore al piede non l'ha fatto dormire una notte, il venerdì, è andato all'ospedale, gli hanno detto borsite (mi dicono, ma io credo fascite) comunque infiammazione. Niente da fare. Piangeva come può piangere un uomo consapevole, per la delusione, con la dignità di chi sa di aver perso un'occasione, preparata, sudata. Ma io credo che lui non si rammaricasse per quello che aveva faticato ed inutilmente, ma per il sogno che non poteva avverarsi. Dentro di se è pronto a riprovare, appena guarito, non gli pesano i chilometri, è uno che ama correre, che sente solo il peso del non poter partecipare. Resta solo una considerazione (la faccio per il Bini, come la faccio continuamente per me) il nostro fisico è unico, può somigliare ad altri, avremo lo stesso naso, ma allora sarà la bocca che è leggermente diversa o il colore degli occhi. Le fibre muscolari seguono la regola e se tutti fossimo uguali, potremmo sopportare gli stessi allenamenti e tutti arriveremmo insieme sulla linea del traguardo. Ognuno deve conoscere il proprio limite attuale. Questo è l'augurio che faccio al Bini, con una pacca sulle spalle e l'augurio di trovarlo prestissimo sui nostri sentieri.
Tre storie diverse che racconto volentieri oggi che altri, con sacrificio e dolore, sono arrivati in Piazza Santa Croce. E concludo con una riflessione del nostro Umberto Troilo, medico e quindi, anche se spensierato sportivamente, adatto a fare un punto. Ha concluso la Maratona in 3 ore e 25 minuti. Ottimo tempo. E non era preparato. Mi ha detto oggi: "Sai il fatto che io abbia realizzato un bel tempo senza allenarmi sta a significare che anche se mi alleno, miglioro poco e questo è sintomo di anni che passano".
Se lo dice lui che è ancora un bimbetto....
Andrea Bartalesi

 

 

(Astiani durante una corsa del Trofeo)