Home  -   Chi Siamo  -   Cronache  -   Calendario Corse  -   Porcari Corre  -   News & Eventi  -   Il Medico Risponde  -   Tabelle Allenamento  -   Spazio Video  -   Contattaci
Home   -  Cronache   -  Cronaca

A SAN ROCCO IN TURRITE CON BEATRICE

27/08/2012

a cura di Andrea Bartalesi

A SAN ROCCO IN TURRITE CON BEATRICE

 

Qualcuno cercherà la cronaca della bellissima marcia di San Rocco in Turrite, attesa per un anno, cercherà le foto dei suoi boschi, del profilo delle Panie, il naso adunco dell'Omo morto, cercherà la foce del Pallone da dove guardare le belle signore stese sul bagnasciuga della Versilia, dove indovinare, lontane, le vette della Corsica. Altri vorrebbero vedere il rosso profilo del Matanna, roccioso, sanguigno slavato di bianco, e l'Alto Matanna, il rifugio, che segna il ritorno della vegetazione, con i suoi laghetti per dissetare il bestiame, qualcuno anche per fare un salto al Callare e da qui domandare se i Bimbi del Procinto stanno bene.

Ieri mattina, dopo che Beatrice era arrivata nella notte facendo un sacco di rumore (rumore più consono a una ragazzetta con i capelli rossi e al vento che non la giovane desiderata e inseguita nei sogni da Dante Alighieri) ci siamo alzati presto e visto che il cielo era grigio ma sapendo che è sempre azzurro sopra le nuvole, siamo partiti fiduciosi. Parcheggiata la macchina, fatto il cartellino l'ottimismo rimaneva piantato in noi come può essere piantato in persone dure di comprendonio che non volevano vedere in alto, dove sappiano esserci il crinale che avremmo dovuto percorrere, fulmini che arrossavano il grigio. Ma gli amici, tutti gli amici erano pronti, Mario addirittura spolverava la digitale e mi ha immortalato con Aldo, testimone Eleonora. Raccattati gli amici più fedeli si parte. Nemmeno il tempo di scendere dal campo sportivo sulla strada che comincia a gocciolare. Decido di mettermi una maglia a mezze maniche, non si sa mai, non per l'acqua ma per il freddo che conteneva l'acqua. E subito per farmi capire che avevo visto giusto ma non tutto, l'acqua cadeva come se da quelle vecchie case rocciose, da quelle piccole finestre, qualche vecchia donna ci gettasse addosso secchi di acqua gelida. Ma noi, quelli duri, quelli che chiedono sempre e non ricevono mai, avanti, tanto il freddo sarebbe passato in salita. Ma non passava e l'acqua aumentava. Era una pioggia di cubetti di ghiaccio tolti dal frigorifero che si scioglievano sghignazzando sulle nostre spalle. Uno incoraggiava l'altro e così giunti alla Groppa, al ristoro un bicchiere di thè sembrava gelido ma ci scaldava il pensiero. Guardavamo il cielo e i nostri propositi intanto avevano avuto una leggera revisioen: non più la 20 km, "faremo la 15, tanto vedi schiarisce" (illusione perchè dopo essere saliti lungo una strada ripoperta da alberi ci siamo trovati improvvisamente in una piccolo avvallamento dove una sorta di baita la fa da padrona. Non stiamo a bagnarci e continuiamo lasciando sulla destra il bivio della 9 dove molti più sani di mente di me si erano già buttati. Prendiamo subito dopo l'asfalto un strada sterrata e subito a sinistra sotto un castagno dinoccolato un sentierino che sappiano essere infido in salita, senza requiem, senza perdono, di quelli che fino a che non finisce ti impegna e non vuol sentir ragione. Lo affronto di petto, voglio scaldarmi mentre in alto brontola il tuono, quasi nelle trincee della Quindici-Diciotto, ma questi sono tuoni e non cannoni, meno male, verrebbe da dire. Sentiamo voci sopra di noi, un gruppetto sta scendendo ci passa accanto, non dicono niente, "Ma dove andate?" viene da chiedere ad uno di noi. Neghittosamente ci rispondono che della 20 km non se ne parla nemmeno, ma un uomo dell'organizzazione subito sopra gli ha sconsigliati ad andare avanti sulla 15 perchè il crinale così scoperto è pericoloso per i fulmini e per tutto il resto. Non ci dicevano niente perchè avevano l'animo alle basse per la rinuncia. L'acqua ci scorre sul naso, fermi come siamo, dalla tesa del berretto ci viene giù una secchiellata d'acqua che si intrufola nel colletto della maglia e ci fa gelare tutto quello che avevamo risparmiato nello sforzo della salita. Vediamo l'"omino" con l'incerata verde che con ombrello sembra, come un pastore, dirigere il gregge verso il basso. Ci accorgiamo che sotto di noi si sta formando un rio, la strada sterrata ora è un fiume sterrato, la strada alfaltata un fiume asfaltato. Corriamo in discesa, torniamo al ristoro, prendiamo la 9 coscienti come siamo che in quattro salti saremo nuovamente a San Rocco. Intanto il cielo si incupisce, anche lui arrabbiato, deluso, e i tuoni lacerano l'aria come fosse tela lasciando in sospseso il boato che ci risparmia. Il bello della strada si interrompe e comincia un sentiero scosceso, stretto, pieno di curvette, di salti, di rimbalzi, di castagni, di foglie, di felci, di scivolate e noi giù inseguiti dai tuoni rotolanti, dai lampi che ci venivano a fotografare nel buio della selva. Improperi verso gli organizzatori che avevano avuto la sola colpa di bagnarsi tutti, come ci stavamo bagnando noi. Qualcuno diceva che c'era una larga strada più sopra, quasi la Firenze Mare, ma non era vero, faceva parte del sogno, dello scaricare su altri l'immancabile fatto che non avresti dovuto fare. Attenzione si scivola, attenzione, passa di qui, passa di là, signora mi dia una mano, qualcuno passa come un dirigibile (vero Monticelli?) e gli gridiamo piano, vai piano, stati attento qui non ci arriva nemmeno il Soccorso Alpino. I fulmini sembrano averci scovato, come se la batteria del mortaio dopo vari tentativi avesse localizzato il nostro tracciato. Nei salti scivolosi, sobbalzavamo, infilavamo il collo nel petto, volevamo essere più piccoli, ma ci facevamo coraggio. Domandavamo alle cerate verde quando finiva il senteiro e per due volte ci hanno risposto "cinquecento metri".

Poi d'improvviso una giravolta, tetti di case sotto, rossi, grondaie che grondavano violentemente acqua, fontane improvvisate dal monte, qualcuno diceva di aver paura che il monte venisse con noi. Ma c'è sempre qualcuno che il male non gli basta, vorrebbe sempre il massimo. Ma quelle case sono l'avamposto di Cardoso, c'è del cemento sulla strada che scendiamo, ci involiamo a gambe levate lungo la strada carrozzabile e navigabile verso San Rocco, verso il campo, verso una macchina che non ci può accogliere per cambiarci e allora quelli del piccolo bar-ristorante gentilissimi, ci accolgono come tanti naufraghi e ci lasciano spogliare, ci darebbero anche la loro camera da letto, se l'avessero a portata di mano.

Grazie ragazzi. Grazie a quelli del piccolo Ristorante, a quelle persone con cerata verde, uno senza ombrello che ci guardavano passare nel bosco e atutti diceva "cinquecento metri", desolati di non poter fare niente, ma presenti, con tutta lo loro acqua addosso, grazie alle tettoie dove qualcuno, si è gettato e forse è ancora sotto, nascosto, in attesa che qualcuno gli gridi che la guerra è finita. Grazie a tutti coloro che ci hanno fatto compagnia, a quelli che erano pronti sul percorso della 15 e che hanno dovuto, a piedi tornarsene giù. Meno grazie a tutti quei podisti che, pur non correndo, pur rinunciando, si erano rifugiati nel piccolo castello dove solitamente c'era il ristoro e da lì non volevano muoversi intasando il nostro arrivo e schizzinosamente urlando che li stavamo bagnando.

Ma quella che proprio non c'è da ringraziare è Beatrice. Eh no, Beatrice, non va proprio bene per niente. Ci hai rovinato una mattinata che aspettavamo, come se qualcuno il giorno che arrivò la stella avesse tinto il cielo con una biacca nera, ci hai lasciato la speranza fino in fondo e poi, al momento che il sacco era aperto, questo sacco grigio dove noi ci siamo infilati, ci hai chiuso scatenando tutto quello che una giornata in montagna , tutto, ma proprio tutto, di quelle da ricordare, ci può riservare. Devo confessare, cara Beatrice, di non averti mai amata, anzi sono sempre stato dubbioso verso la tua persona. Dante, bravo a scrivere certo, mi è sembrato a volte un po' rincoglionito, sempre a guerreggiare con chi perdeva, sempre in esilio, sempre a nascondersi, con quel naso poi come poteva, e a sognarti, a desiderarti. A parte che con te proprio credo non abbia mai parlato altrimenti si sarebbe accorto che non meritava la pena.

Oggi, lunedì, con l'incoscenza del giorno dopo, con gli occhi pieni di sole e di azzurro, ripensando all' occasione mancata per qualche ora, mi sento tuttavia di aver vissuto un'avventura, che forse perchè è finita nel migliore dei modi, mi è piaciuta aver vissuto. Ma tu, Beatrice, lasciaci in pace per favore.

Andrea Bartalesi

 

 

 

 

 

 

 

le foto sono di Mario Pardella