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ALLA ROCCA DELLA VERRUA PRIMA O POI di Andrea Bartalesi

19/10/2020

a cura di Andrea Bartalesi

ALLA ROCCA PRIMA O POI

 

Quante volte dal 1974 ad oggi sono passato dalla Verrua? Millanta, potremmo dire, con quella esagerazione tipica delle fiabe. E parlare della Verrua (Verruca ma i pisani ci tolgono la c) ha sempre un po’ di fiaba. Arrivavamo sul piazzaletto dove di solito gli organizzatori ponevano il ristoro, ci guardavamo in giro “assatanati” uno sguardo a quelle rocce che sembravano essere solo rocce e poi giù per la discesa, sia che fosse Caprona, Vicopisano, Calci…discesa che dopo tanta salita era agognata.

Ecco, ieri, con Claudio, partiti da Vicopisano di buonora per andare a vedere la Verrua, “poi si vedrà” inteso come proseguo del viaggio.

Abbiamo lasciato dietro di noi una pianura piena di nebbia bianca che tratteneva in basso le impurità del mondo (solo la Rocca del Brunelleschi si mostrava nel mare di nebbia) e siamo saliti verso un cielo puro, quasi che il colore celeste fosse la somma di quel nulla che c’era fra noi e Dio.

Pochissimi cacciatori, un cane giocherellone e poi, dopo le Mandrie e poco prima del bivio della “Via dell’Orso” che porta a Col di Cincia, una donna non più giovane che si fa trascinare da un cane lupo. Silenzioso, bocca aperta gocciolante (il cane) tirava il guinzaglio che aveva nelle due mani la donna tutta penduta indietro a far resistenza, tanto che mi è venuto spontaneo chiedere, “Signora, ma ce la fa?”. Confesso che non me ne fregava niente di lei, semmai pensavo alla mia incolumità. Il mondo è così. Poco dietro alla coppia donna e cane, il marito della signora, anziano, con il bastone.

 

Arriviamo al piazzale non prima di esserci fermati dove parte il Lombardone, salita mitica della marcia di Vicopisano che ci portava al Masso della Dolorosa e poi ai Cristalli. Leggiamo un cartello e tutti protesi verso la Rocca della Verruca, ci confondiamo con il Convento di San Michele alla Verruca con annessa chiesa (solo ruderi ricoperti dall’edera e dalla vegetazione, confondendoci che questo fosse il nome della Rocca, che invece era ben altro.

Oggi, dopo visita alla Wikipedia:

La struttura della rocca aveva un'importanza cruciale per la Repubblica Pisana, perennemente in guerra con Firenze. Il castello era il nucleo di un sistema di fortificazioni sparse sul territorio circostante, tra cui possiamo elencare i castelli di Caprona, Vicopisano e Buti. Le comunicazioni tra questi avamposti e la rocca, così come quelle tra la rocca e la città di Pisa, avvenivano con lenzuola, stendardi, fumo, fuochi o colpi di artiglieria attraverso un codice che permetteva di informare repentinamente sui movimenti delle truppe nemiche in avvicinamento[2]. In caso di scarsa visibilità il segnale veniva passato attraverso le varie torri dislocate sui monti pisani: la Torre dello Spuntone], il castellare di Asciano], il castello di Agnano e il castello di San Giuliano.

Teatro di cruente battaglie tra Pisani e Fiorentini, fu ripetutamente roccaforte dei primi quando ormai la città era caduta in mano al nemico. Il sito era già occupato da una fortificazione dal780, ma la rocca vera e propria fu costruita solo nel XIII secolo, ed è sopravvissuta come struttura militare attiva fino alla definitiva caduta di Pisa nel1503. Le ultime strutture ad esser costruite, in vista dell'ultimo decisivo scontro con i Fiorentini, furono le quattro torri angolari, due orientali di grossa dimensione e due occidentali più piccole, con feritoie e balestriere.  

Fermiamoci qui, se uno vuole può continuare su Wiki. Posso aggiungere una curiosità tipica “pisana”, della serie notizie fiabesche: Dicevano che dalla Rocca partiva un cunicolo che arrivava direttamente a Pisa. Praticamente impossibile, a parte l’altezza della Rocca (537 s.l.m.) in linea d’aria ci sono almeno 15 km da quella torre pendente. Neanche con una talpa di quelle moderne.

E qui comincia invece la nostra visita corporale, saliamo su questi spuntoni di roccia “verrucana”, scalini irregolari, scavati dall’acqua di millenni, pietre di traverso come ammonimenti divini, corbezzoli che punteggiano con il colore dei frutti, dal giallo al rosso, il cammino. C’è da stare attenti, ma arriviamo alla porta che guarda Firenze, accanto alla Torre che sovrasta tutto il monte. Entriamo da questa porta piena di luci e di ombre, Tante pietre formano strutture di case, non ci sono i tetti, non ci sono i residui di quello che manca delle case, semmai legna buone da ardere, nascosta alla buona per fuochi dove far sfrigolare delle salsicce, entriamo e usciamo su una spianata delimitata giro giro da mura grigie di pietra. Alcuni ballatoi tenuti da volte in mattoni, fatiscenti, e oltre i muri, in basso, il verde macchiato di Calci, Montemagno, lontano, sempre nella nebbia, Vicopisano. Dall’alto ci stanno osservando le antenne del Monte Serra. In terra stiamo attenti di non inforcare le buche con scalini che portano alle stanze sotterranee, forse depositi, forse galere.

Dopo i dovuti selfie, prendiamo la discesa e al bivio per il Lombardone una ventina di bikers attendono quelli che sono rimasti indietro sulla salita. Scegliamo di tornare da San Giovanni alla Vena, con una strada bianca, discreta, ogni tanto traversata da un albero caduto, pinastri bruciati dall’ultimo incendio che marciti alla base cadono per un colpo di vento.

Passiamo sotto la Madonna di Castellare, quella sul cucuzzolo, bianca, che si vede dalla Toscoromagnola. A Vicopisano andiamo a vedere le scale del Castello e ci portiamo a casa la foto delle “palle” del Brunelleschi, di pietra che buttavano sulle teste e sui mezzi dei nemici.

Insomma con 15 km di cammino e 3 ore e mezza di tempo, ci siamo tolti la soddisfazione.

ecco le foto

 

e queste di Vicopisanoo

 

Andrea Bartalesi