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ALPE DI CUSNA

15/09/2011

a cura di Andrea Bartalesi

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MONTE CUSNA 070911

Un falco si alza vicino, tagliente come un'alabarda, mostrando il bianco del suo ventre. Sale in alto per poi scendere al passetto e giocare con il vento, restando immobile mentre le sue penne rossicce fremono. Poi scompare nel cielo immenso, ma lo rivedremo ancora, poco più tardi.
Il Cusna, o meglio l'Alpe di Cusna, si trova nell'Appennino Emiliano ed è la seconda vetta in altezza dello stesso dopo il Monte Cimone. Hanno una caratteristica in comune: tutte e due sono fuori dalla linea displuviale. Quindi su di loro niente sentiero "OO". Ricordo che quando dal Libro Aperto mi volsi verso il Cimone mi meravigliai che lo "OO" non salisse ma scendesse in basso. E' una cosa curiosa, ma la linea degli Appennini italiani fa anche da spartiacque e se uno sul crinale del Monte Prado, per esempio, e visto che è proprio davanti al Cusna, fa la pipì a sud, questa va direttamente nel Tirreno mentre, solo dieci centimetri più verso nord, arriva tranquillamente nell'Adriatico. Uno si sente importante: può prendere una decisione che cambia il corso della sua pipì.

 

 

 (il profilo della Pietra di Bismantova)

 (Rifugio Zamboni)


In cinque, Andrea, Carlo, Domenico, Renzo e Sergio, in stretto ordine alfabetico, ci siamo goduti il monte Cusna: un bel monte con tutti i requisiti che ti fa ricordare una giornata di sole, di aria, di vento, di luce.
Dopo aver visitato tanti paesini del Reggiano, vista la Pietra di Bismantova in diverse prospettive, ci ritroviamo a Villa Minozzo e da qui al Rifugio Zamboni. Non c'è tempo da perdere, strinti gli scarponi, infilati gli zaini, lasciata la peschiera del rifugio (mt.1141), iniziamo a salire. Le faggete sono ancora verdi, il sentiero va subito deciso verso l'alto. Guadiamo il Fosso degli Arati in secca, mentre un ponticello di pali fa bella mostra di se. Si sale il canale della Borra, incontriamo le carline che ci mandano i loro riflessi, le mosche si installano sulle nostre teste, a ognuno le sue, il paleo è alto, ma il sentiero è ben visibile e segnalato. Lasciamo le faggete e guardiamo il profilo del Cusna che ci aspetta in alto.

 

 

 (a sinistra la cresta del Cusna)

 

 

 

Seguo sul Garmin l'altitudine e scatto foto. Penso che la digitale sia il nostro terzo occhio, quasi una finestra dell'anima. Siamo talmente abituati che ci sembra di non goderci la cosa se non la fotografiamo. Ci vorrebbe un registratore di suoni: qualcuno ha sentito il fischio delle marmotte, anch'io, ma sarà vero? Una palina si stacca in alto a destra, forse in Paradiso, ci sembra di vedere una figura di uomo che dopo poco sparisce. Lassù troviamo un quadrivio, svoltiamo a sinistra con sentiero 617/619 per la vetta. Ci appaiono i cavalli, uno particolarmente socievole mi viene incontro, mi domanda come mi chiamo ma io non lo capisco, lo evito per paura che, toccandomi, mi faccia capire la stanchezza delle gambe. E' un compagnone, vorrebbe una pacca sulle spalle. Non permaloso, si volta e mi guarda, lo chiamo "bello". Mi sorride. Faccio delle foto.

 

 

 

Cerco anche di avvicinarmi a loro. Sono belli, veramente uno spettacolo, le loro criniere, le loro teste, oltre la sagoma del profilo del monte, stanno vicini mentre altri hanno formato gruppetti isolati, quasi schizzinosi. Capisco le mosche guardando gli escrementi. Intanto passano alcuni momenti, la palina dice che per andare sulla vetta mancano 15 minuti. Siamo pronti a scommettere con chiunque che non possono bastare: la vetta è ancora alta.

 

 (nello sfondo la pianura emiliana)

 

 

Salutiamo i cavalli che cercano di scacciare le nostre mosche con le loro lunghe code. Si sale lasciando il sentiero, a vista, un piede più in alto dell'altro, qualcuno dice che è stanco, altri non lo dicono ma lo sono. Cerco nello zig zag di diminuire la fatica. Ma ci siamo, ecco il profilo tondo, una bandiera, una grossa croce, una statua della Madonna. C'è vento, le mosche hanno preferito rimanere con i cavalli. Gli occhi girano intorno, vogliono scoprire tutto in un momento, guardo il mare che non vedo, bianche nuvole davanti ad altre nuvole mi coprono le nuvole sopra il mare.

(fra le nuvole l'Alpe di Succiso)

(Monte Prado, con sotto la Foresta dell'Ozola e il Rifugio Battisti)

 

 

 

(la Pietra di Bismantova zoomata dall'alto)

Cerco subito l'Alpe di Succiso dove un anno fa ci siamo arrampicati, eccola, quello è il suo anfiteatro, l'altipiano dove nasce il Secchia, ecco il Nuda, sotto Cerreto Laghi. Mi giro verso est, ma quello è il Prado, certo, e allora quello è il Rifugio Battisti, guarda quella linea, il lago Bargetana, che spettacolo. A est ci sono meno nuvole (non c'è il mare), il Cimone un triangolo netto, a nord la Pianura Emiliana, la Pietra di Bismantova tornata ad essere piccola. Alcune nuvole sembrano Alpi bianche di neve. Non lo sono, ma è come lo fossero.

 

 (a vetta ai nostri piedi)

 


E' freddo, siamo bagnati di sudore, due ore e cinquanta e siamo arrivati in cima. Dobbiamo mangiare, è tardi, ho fame, ma c'è troppo vento. Ma ci dobbiamo togliere la maglietta, metterci un pile. Intanto ci guardiamo intorno, sembra di essere in cima a un monte di oltre duemila metri con tutto un cielo enorme ed infinito sopra di noi. Guarda il traliccio della croce! Lo hanno riempito di pietre altrimenti il vento lo avrebbe piegato. Che foresta sotto di noi! A est il crinale scende ripido, poi il Sasso Morto, il Monte la Piella. Che facciamo? Scendiamo da questo sentiero? E' un EE! Ma asciutto, con attenzione, seguiamo i segni biancorossi, ci portano quasi in collo, sembrano indicarti dove mettere il piede, con calma, quello lo dice Carlo, il nostro sherpa.
Si torna sul crinaletto, si allunga il passo, ci si ricompatta, si guarda indietro.

 

 

 (guardandoci indietro)

 (guardando avanti)

 (quello che ho fotografato di un falco)

 

(la bella criniera del Monte Cusna)

Ma il sentiero dove siamo passati dov'è? Ragazzi ho fame, sono le tre! Ho dei panini che aspettano i miei denti. Ci appare Emilia 2000. Quota 2058 metri. Già il nome. Poi i due fabbricati, un misto di baracche di campo profughi, solo che invece che di cartone sono di cemento. C'è la cabina della seggiovia, un edificio, proviamo il portone, da quello davanti a noi si affaccia Carlo: aperto. E' il Rifugio Emilia 2000. Entriamo. E' o era? Le panche sono accoppiate a due e due, ci sono dei cartoni, qualcuno ci dorme la notte. Anche il giorno se vuole. Non c'è vento. Appoggiamo gli zaini, la fame ci chiama. Panini spariscono dentro di noi. Poi si cercano i dolcetti, la frutta. Le finestre ci mostrano la piccola stazione della seggiovia: i vetri sono scheggiati, anzi, colpiti con sassi, presentano un buco con le raggiere. I vetri erano doppi. C'è voluta della forza. Forse il Rifugio Emilia 2000 è abbandonato e usato solo per chi vuol dormire la notte, fino a che resterà abitabile. Fino a che qualcuno vorrà rompere anche questi vetri. Ragazzate? Ma quali ragazzi?! Ci vogliono quattro ore per arrivare qui! E allora? Qualcuno trae piacere dal distruggere? Certo questo agglomerato di cemento non doveva esserci. Ma non doveva esserci nemmeno nel 2000 cara la nostra Emilia! Questo è un cazzotto a tutta la civiltà umana, la dimostrazione di tante cose. Io non voglio dire di non fare la teleferica, ma facciamo un punto di arrivo che non cozza con gli occhi di chi arriva quassù stralunato dalla fatica e impressionato dallo spettacolo della natura, quella del Creatore. Perché rendere così lampante la differenza fra Dio e l'uomo?

 

 

 (Domenico guarda il Rifugio Battisti di fronte a se, sullo sfondo l'Alpe di Succiso)

 

(io e Sergio con le magliette Atletica)


Ci lasciamo l'obbrobrio alle spalle, torniamo nel vento, mi metto la maglietta dell'Atletica Porcari per una foto ricordo "guarda bene di non prendere i fabbricati!". Ho lasciato il pile sotto. Meglio non fare i gradassi.
Andiamo sul Monte La Piella (quarta vetta dell'Emilia, quota 2071) ma l'Alpe di Cusna ci sovrasta e incute soggezione.
Guardiamo verso sud la Foresta dell'Ozola, voltandoci verso il Rifugio Battisti ora vicinissimo, ascoltiamo il silenzio. Alcuni cavalli chiacchierano vicino ad un piccolo laghetto quadrato dove si specchia il sole. Ci dispiace ma dobbiamo scendere verso il Monte Passone, sul paleo che stratificandosi diventa tappeto. Il sentiero sembra andare al Battisti, appena oltre la vallata, ma voltiamo a sinistra e saliamo leggermente.

 (le canne del Monte Passone con Carlo il nostro sherpa)

 

 

 

 

Sulla cima del Monte Passone ci sono le canne d'organo, mi dice Carlo. Dobbiamo andare a vederle. E infatti io e lui saliamo la piccola vetta, gli altri ci aspettano al bivio. C'uno strano congegno, una doppia croce, oppure una croce a tre dimensioni. E' formata da tubi d'acciaio che brillano della luce. Mi dice Carlo che siccome è un punto dove il vento è padrone assoluto, fra l'altro mette in contatto due diversi bacini, hanno pensato di mettere delle canne d'organo così che vengono suonate dall'aria che vi passa forzatamente. Proviamo a mettere l'orecchio alle canne, si sente un vibrare d'aria, un suono che ricorda il passaggio fra le canne di palude. Più che canne d'organo direi che sono flauti di Pan (già il nome più selvaggio). Si differenziano per il luogo dove sono stati fatti tre buchi, non hanno il taglio dove si forma il suono come nell'organo. In quest'ultimo la differenza del suono è data dalla grandezza della canna. Certo una iniziativa strana e mi immagino la sorpresa del viandante che arrivando, e non sapendo, sente nell'aria questo suono e pensa a un pastore e non ne vede il gregge, pensa ad un cane, alla solitudine dell'uomo.

 

 

 

 (un simpatico termometro a corda)


Scendiamo e guardiamo la linea delle faggete che non si avvicina mai: la desideriamo, chiaro, cominciamo a sentire la stanchezza nelle ginocchia che sforzano per sorreggerci. Passa del tempo, arriviamo alla desiderata linea, alcuni cartelli indicano un percorso "per il Vostro cuore", ci sono indicazioni, altitudine, consigli. Troviamo una panchina bella, fatta di piccoli rami di faggio. Accanto c'è una sorgente indicata, l'acqua viene da sotto una pietra e forma una piccola gora per subito scendere nel canale sottostante. C'è fresco, l'acqua gelida, le mosche formano un sipario solido. Scendiamo, scendiamo, troviamo un bel sentiero, beviamo ancora, sentiamo di essere vicini, alcuni ponticelli come quello della Fossa degli Aratri ci fanno pensare allo stesso "ingegnere".

 

 

 (Renzo)

 

(Sergio)


Una strada, una strada asfaltata, una strada asfaltata grande? Noi siamo arrivati al Rifugio Zamboni su un nastro da capelli asfaltato. Ma dove siamo? Cavata la carta dal fido zaino di Carlo tutto si chiarisce: siamo a Pian Vallese, da dove partono gli impianti di risalita per la neve. C'è da fare un paio di chilometri in diagonale per ritornare alla macchina. Partiamo come gli uomini che nel 15 andarono al fronte. Ci distrae una pista da fondo, verde, che si infila fra gli abeti, ci viene subito un sussulto, il nostro spirito di "corridori a piedi" ci chiama all'appello e d'impulso tutti gridiamo presente. Ma la ragione fa presto a prevalere, ci sono delle salitelle, ci sono pietre da evitare, c'è ancora del bosco, ancora delle salite, ancora delle piccole discese.
Ogni parete di mattoni ci sembra il nostro rifugio, ma ci sbagliamo. Poi, quando finalmente ci appare lo salutiamo con gioia.

 

 

 


Sono passate sette ore dalla partenza, il percorso stimato di 13 chilometri. Il tempo, leggermente nuvoloso stamani è andato sempre migliorando. Ricordiamo, ridendo, quello che aveva detto a Ligonchio la mattina un signore dalla bella voce sonora, uno di quelli che si ascolta volentieri anche se non dice niente. Gli avevamo chiesto cosa pensava del tempo, visto le tante nubi. Aveva risposto: "I vecchi del paese hanno detto che il tempo sta girando, che va a piovere". Viste le nostre facce, sentiti i nostri "nooooo", aveva aggiunto "è anche vero che i nostri vecchi sono come il Governo, la sera dicono una cosa e la mattina dopo un'altra".
Andrea Bartalesi