Mirteto, luogo affascinante, dove il silenzio è interrotto solo dallo scalpiccio di vecchi viandanti, dove ancora immagini il passaggio di frati robusti, dai polpacci sviluppati sotto le rozze tonache, è qui, vicino, a portata di visita lampo.
Fra l'altro io e Claudio avevamo un conto in sospeso. Domenica scorsa, seguendo i ricordi podistici e alcune occhiate sui sentieri del Comune di San Giuliano, eravamo venuti, ardimentori, per rievocare dei percorsi fatti con il denominatore comune di "quelli della domenica". Domenica le cose intersecandosi, fra la realtà e i ricordi ci avevano portato a non arrivare a Mirteto.
Allora ieri subito da Asciano a Mirteto. Poi vedremo. E si è finalmente aggiunto Sergio.
Parcheggiato in Piazza delle Lavandaie prendiamo per la Valle delle Acque, dove venivano raccolte quelle in procinto di andare a Pisa con l'acquedotto Mediceo. Intanto la strada è subito "indiscretamente" in salita, forse per farci capire subito di cosa parliamo oggi.
Arriviamo al Cisternone, un edificio che sa tanto villone di campagna, con le sue scale padronali. Ci consigliano di guardarne la vasca dai due finestroni accanto alla porta. Guardiamo un'aria grigia spezzata da tavole o muretti che dividono la stanza in tanti riquadri. Ci immaginiamo il bollire delle acque, con fiducia, e riprendiamo il cammino: dietro alcuni piccoli edifici dove conffluivano le acque e il sopra dei condotti, una sorta di schieda rotonda di mattoni pieni che fuoriesce dal terreno. Sentiamo una cascatella, uno di questi piccoli antri ha la porta spalancata. Due griglie per fare il barbecue ci dicono che in molti amano mangiare qui, sotto il verde dei corbezzoli.
Non perdiamo tempo e iniziamo la salita e stiamo attenti a non sbagliare: alla casa, a sinistra, una tavoletta di legno con inciso Mirteto.La strada da salita diventa ancora più impegnativa. Giravolte secche come schiaffi, pietre nude e tralci di edera, e un passo sopra l'altro. Il tempo passa e sbuchiamo a Mirteto. Case che subito ci dicono"Attenti, non vi avvicinate, siamo qui per cascare". Non ci mettiamo a cercare il vecchio frantoio, ci fiidiamo di quello che hanno scritto, ma la chiesa con la sua abside, che ci illuminò quando ci passammo, richiama il nostro confronto. E' sempre bella come la vedemmo le prime volte.
Entro in chiesa, vuota del soffitto, ma piena di una pietra d'altare, il suo portale che sembra lo sfondo. Guardo l'altare. Qui varrebbe la pena di pregare. Immagino pensando alle preghiere dei frati cirstercensi che ci hanno abitato fin dall'anno mille (la chiesa fu ricostruita intorno al 1400) ma sopratutto gli sguardi dei partigiani e di chi si nascose in questi luoghi nel 44. Immagino le orecchie umane diventate attive e paurose come quelle dei cerbiatti, le giornate a fumare semisdraiati, a pensare a cosa succedeva a casa.
Ma non è tempo di riflettere molto. Un sentiero che spontaneamente immaginavo mi si nega. Non cìè più. E' chiuso dai rovi. Si apre solo in alto con destinazione Passo della Conserva. La Conserva è il monte che ci sovrasta, e il sentiero è un'arrampicata. Claudio subito sparisce e Sergio, che sembra aspettarmi dice "...sai lui è allenato".
Di qui ci passano in pochi ma la domenica "di più". C'è sempre un appiglio dove aggrapparci, per tirarsi su anche con le braccia. Dopo poco passa un uomo nemmeno tanto giovane, vestito di giallo, sembra un ragno, un ragno giallo e nero, di quelli che trovi nei vecchi anditi, lo vedi e subito sparisce. Anche quello, sembrava aver sei zampette rapide, io continuo con due piedi e due mani, lui ha un trattore cingolato fatto di zampette. Sparisce sopra di me.
Quella salita io non l'avevo mai fatta. Il sentiero che ci fecero fare a San Giuliano è sparito. Dio ci ha lasciato un'arrampicata dove mettere a prova i polmoni e i muscoli dopo il CoronaVirus.
Ma saper che Claudio e Sergio sono davanti a me mi fa perseverare e finalmente eccoci al Passo dell Conserva. I due amici stanno parlando con un cacciatore dalla voce profonda e alle spalle, sotto un incerato verde, un carico che sa tanto di gabbie. Lo conosce Sergio. Davanti a me si intravede la via che dal Foro va a Lucca, ma da molto in alto. Siamo a quota 560 circa.
Qui passa la strada bianca anzi gialla che dal Passo di Dante ti porta, se hai voglia di camminare o pedalare al Monte Faeta. Passano tanti in montanbike, scendiamo veloci verso il passo del Castagno, Chiedo a uno che sale in bici se poi sarebbe sceso da Vorno. Mi meraviglia. "Vado al Faeta, giro per Campo Croci, vado a Sant'Allago, Prato a Calci, scendo ai Cristalli, prendo le la Dolorosa, il Lombardone, scendo in Verrua, poi vedo".
Noi invece al Passo del Castagno scendiamo velocemente a Asciano. E ci riteniamo molto soddisfatti di quello che abbiamo fatto.
Andrea Bartalesi