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IL BIGNAMI DEL GIRO DEI COLLI TERMALI condensato da Andrea

06/04/2009

a cura di Andrea Bartalesi

Scrivo di questa bella storia podistica in terra di Controneria rimpiangendo una ciotola piena di cioccolato fuso, che, spalmato su fette di pane, fondente e nero com'era, doveva essere un delizia e certamente mi avrebbe fatto entrare in questa settimana Santa con qualche peccato (di gola) in più. Ma l'uovo, così come tradizione, così come formato da una cioccolata altrettanto fondente mi avrebbe ricordato la resurrezione, la rinascita. Invece ho saltato tutto, torte, dolci, crostate, ho preso una fetta di pane con olio e sono quasi scappato, senza voltarmi indietro. E pensare che il Serafini mi ha imposto d'esser breve. E se lo dice lui, magic-man del Giro dei Colli Termali, devo ascoltarlo. Allora salterei subito il rumore dell'acqua della Lima, quel rumore di sottofondo, quel brontolare e quelle chiacchiere tipiche dei salti, delle cascatelle, che ci accompagnano nei primi km durante i quali le nostre gambe si ricordano, sbuffando e cigolando, che i loro padroni, sono podisti. Salterò del raccontare quella piccola piscina azzurra, fra la Lima e il poggio, subito dopo La Villa, che ti fa pensare al padrone che non si è voluto negare niente e si è fatto costruire una tinozza ... olimpionica.

 

 

(il "nostro"Beppe)

 

 

 

O di Beppe che nella salita a tornanti secchi e ripidi mi diceva "sai Andrea, il lardo è buono, ma portarlo in salita..." e Gino che aggiungeva "e pensare che questa mulattiera così ripida, con queste pietre ora smosse, era l'unica strada per quei luoghi dove stiamo andando". E poi aggiungeva, affrontando una ulteriore giravolta, "io mi sarei fermato giù, anche se lassù ci avessi avuto il pane" e uno da dietro, quasi un ritorno dall'anima, aggiungeva "così ti sfamavi di solo companatico". Perché quando si corre o ci si arrampica in posti come questi viene da riflettere, da sorridere. E io riflettevo su Nebbia, il bel cane nero che ci correva avanti, si fermava guardandoci per un lungo tratto fino a che non arrivavamo davanti a lui e alla sua lunga lingua palpitante, e sicuramente pensava "ma guarda questi imbecilli che si credono così furbi: hanno quattro zampe e ne usano solo due!"
Ma non posso saltare il gatto nero che si arrotolava in un raggio di sole. Eravamo giunti a Guzzano, sulla strada asfaltata e lui, il gatto, nero, si sfregava per terra come se fosse in un letto di polvere e invece era solo un raggio di sole che veniva di sguincio fra due case. Le sensazioni che sostituivano la materia. E le due manze che pascolavano nel campo con la loro calma olimpica. Lasciati coloro che per qualche motivo si accontentavano della 20, salivamo a Pieve di Controne e la Pieve era splendente,

 

 

 

così inondata di sole. I monti erano tutti lassù a riflettere i raggi e la loro vanità, le selve trattenevano la luce e facevano girare le ombre, mentre, in una forra ci appariva la grotta che conteneva il vecchio lavatoio di Pieve di Controne. Qui, ho pensato, dovrebbero farci un pellegrinaggio tutte le lavandaie, tutte le casalinghe, Zanussi e tutti i costruttori di lavatrici. Ma il sentiero era infido e bisognava stare attenti, saltare fra i castagni, scendendo per poi risalire a San Gemignano di Controne. L'entrata trionfale nel borgo e d'un tratto una donna dai capelli fiammanti ci sbarrava la strada con le braccia a croce tanto che non era possibile passare oltre e ci tuffavamo nell'incontro così caloroso e, come potevamo?, non vedevamo il cartello che aveva appeso al collo. Le parole erano ambigue, avanti a destra, vostra che è la mia sinistra, avanti poi tornate indietro. Abbiamo deciso per "avanti" e ci siamo trovati al ristoro. Un forno acceso dove bruciava legna che in quel luogo diventava antica e mandava odore di fumo e di tradizione. Una rossa pizza affettata sul tavolo, qualcuno giurava che era ottima, qualcuno rischiava di passar per sfacciato e ritornava al desco. Certo vedere la pizza in questi luoghi! Quasi un mescolare le tradizioni, un' immigrazione, un barcone gastronomico. Ragazzi queste sono terre di castagne, di castagnaccio, perbacco e le donne portano la pezzuola nera in testa e sotto i capelli sono raccolti e fermati con le mollette che loro chiamano "fermezze"!

 

 


Torniamo indietro a riveder la rossa che come il Saracino di Arezzo gira su se stessa a braccia in croce, prendiamo un bel sentiero verde che ci fa scendere e girare intorno a una collina e sbucare davanti a un gruppo di case arrampicate su una salita, una terrazza, famosa forse più di quella che si trova in Avenue de Louis XIV a Montecarlo. E' la terrazza di Vetteglia. Da qui si gode (anzi qui si gode) il Prato Fiorito, le sue pieghe, i suoi rigonfi, la luce che si specchia e, dietro, il Monte Coronato imponente, dal profilo che ricorda il Pisanino.

 

 

 

Gusto un pavesino con il miele di castagno, il dolce e l'amarognolo, l'uovo e l'appiccicaticcio sapore del miele, ma la strada ci chiama, le pietre, l'asfalto, si sale verso un colle dal quale scenderemo nuovamente alla periferia di San Gemignano e da qui continueremo con i "ventenni" intesi come quelli che fanno la 20. Ci sarebbe da conoscere i luoghi, i nomi o i nomignoli di ogni canto o di ogni sasso o albero o luogo, qui si muovono gli streghi, di notte, ma non c'è tempo.
Si sale a Longoio dopo Mobbiano, ci bagniamo la bocca ad una fontana che sa di cose passate e ci troviamo sul crinale del Monte Calvario a quota 620 ml. Cima Coppi del giro. La discesa ci viene incontro, un ristoro con persone piacevoli in località Madonna della Serra, sassi rotolanti e acquitrini, un breve tratto da star attenti e poi, dopo che l'occhio si è rilassato nel verde. ci appare, rossa o rosa accesa, un fiamma divampante, una casa, grande, enorme in uno spiazzo, fra le curve a gomito, fra i tornanti di buona terra battuta, un pugno negli occhi di chi la guarda, un invito ad essere guardata anche da lontano. Ma non ci scoraggiamo e arriviamo veloci al ristoro degli Alpini. Qualcuno dice "in discesa i km passano come sabbia fra le dita" forse è il sole, forse l'altitudine che esalta, forse il sentirsi così vicini al cielo, chissà. Mangio due caldarroste fuori stagione, appena girate in una luccicante lavatrice nuda da gente vestita di baffi, cappelli e piuma ardita, ben conservata. Si fanno quattro chiacchiere come se ci si trovasse a veglia, ma ormai sentiamo odore di arrivo e un po' ci dispiace.

 

 

 

 

 Alle Terme da un piccolo tavolino ci offrono acqua tiepida: ascolto interessato le dotte disquisizioni fra l'incaricato e un moderno viandante. "Ma fa andare al gabinetto?" "Sie, niente gabinetto" "Allora che fa?" insiste il viandante "Ti ripulisce tutto": Me ne vengo nell'ultimo allungo a ripensare cosa mi starà ripulendo quest'acqua tiepida. All'arrivo brevi i saluti degli occasionali compagni di viaggio, con fretta, quasi scappando, non saluto nemmeno la Renza e le sue dolci signore, come chi ha gustato un frutto dopo averlo colto su un albero non suo.
Andrea Bartalesi