IL GIRO COME LUOGO DI RICORDI
Il cielo bianco, macchiato da un celeste tenero, velato, faceva da cornice e confondeva il Rondinaio innevato. Rami nudi di castagno erano un reticolo a una dama gigante, dove i quadrati bianchi delle case si contrapponevano a quelli scuri delle ombre. Montefegatesi ci appariva così, come una scacchiera di un gioco per i nostri pensieri e la nostra immaginazione. La visione era tenera, non nitida, come si conviene quando gli eventi sono dettati da un sogno.
La chiesina di Sant'Anna, ci offre il suo “romitorio” per la collocazione di un ristoro piccolo ma prezioso. Caramelle e biscotti, un bicchiere di tè. Un uomo si avvicina, è insolito più che pazzo, la sera era a cantare nella chiesa di Ponte a Serraglio, ha fatto tardi, è tornato all'abitazione nella Piana e di buon'ora era ancora a Fornoli per questo Giro dei Colli Termali. Ha in testa i suoni consueti di Bepi De Marzi, suoni di montagna, canti di gente che, curva sotto un peso, sale verso il cielo, sudando. Sono mugolii e parole strascicate, sono ricordi di compagni che non sono più, cieli sognati, pascoli.
Aveva un appuntamento con questi luoghi. Se non fosse venuto, forse, nessuno se ne sarebbe accorto, ma lui sarebbe mancato a sé stesso. I ricordi fanno parte della vita dell'uomo, ne sono l'ossatura, la struttura portante. La tua nuova strada è sempre dettata dai ricordi di vecchie strade. Lui ha vissuto tanti Giri dei Colli Termali, ne fa parte, come questi rami di castagni nudi che si alzano verso l'atmosfera e sembrano restare impigliati nel cielo di ovatta.
I sentieri segnati dalle secche foglie con ai lati il verde nuovo dei prati, i podisti che passano con la corsa prepotente straripante di gioventù, i paesi oltre la Fegana che si adagiano ancora sonnolenti lungo il crinale delle colline. Ti aspetti contro l'orizzonte di monti innevati, l'Appennino, l'apparire di un'aquila che ci osservi dall'alto planando con i suoi occhi fissi. Questa è terra di aquile, sui ripidi muri dell'Orrido di Botri nidificano. Ti sorprende invece la raffica di un picchio e ti soffermi ad attendere la successiva nel silenzio irreale. Ed eccola e ancora un'altra. Lo lasciamo con questo suo rumore operoso e pensiamo alla sua cervicale.
Questa è terra di tradizioni, il Prato Fiorito, pelato, è nero nel controluce, le sue storie sono racchiuse in questi paesi così silenziosi, nelle cassapanche che conservano la farina di neccio, con le ombre eterne di certi cantucci, abitati dalle nonne e ora, dal loro ricordo. Non esistono più quei bei nonni di una volta, l'uomo appoggiato a un bastone con la giacca scura e che dalle tasche sformate traeva una pipa aggrumata che andava a infilare in quella bocca sdentata protetta dai baffi, diventati gialli dal fumo. Nonne come gingillini da canterale, rotonde, rimpiccolite, con la pezzuola nera che nascondeva i pochi capelli, il seno prosperoso da eterne balie. Ora uomini eleganti dai capelli neri, con il loro giaccone alla moda, dalle mani curate, solo appena macchiate dalla “semola”, con il loro tablet, da dove leggono un romanzo di Sanchez Clara e ascoltano dall'auricolare l'ultimo brano di Shakira.
Monti di Villa come ogni anno è paese di fantasmi dove magari cercare tracce di fatti passati, una pergola, una catasta di legna, un canto di un gallo che non c'è. Macchine scure con targhe gialle, gli olandesi, sono giunti, non come i tartari del deserto di Buzzati che incombevano ma non arrivarono mai. Gli stranieri, con i loro sogni, vengono a popolare i luoghi dei nostri ricordi.
Al ristoro una mezza porchetta, adagiata su un bianco lenzuolo, rifletteva sul suo destino. Nel passato era sempre davanti il Rifugio Fiori, ma quest'anno un nuovo tracciato da Granaiola ci portava sull'antica strada della Costa senza passare da Pieve di Villa. Un sentiero verde, bello come tutti i sentieri di questi luoghi, colli rotondi. E poi mi dicono che lo storico Rifugio ha chiuso l'attività. Troppo poco lavoro per sopravvivere.
A Granaiola tornavamo poi dopo il giro e trovavamo immobile e inutile l'attrezzo che al primo passaggio girava le “mondine”, caldo e risoluto, controllato da un alpino dai baffi tesi e dal cappello floscio ma dagli occhi vivi. Ci avvicinavamo al tavolo del ristoro pensando di tuffare la mano in un caldo sacchetto di castagne bruciacchiate. Finite. Come ogni anno. Le castagne sono per i saggi, per coloro che si accontentano, che non vanno a cercare processioni di streghi per questi boschi, ma scelgono tracciati più brevi. Quelli che come noi vogliono assaporare tutto il Giro che la Renza e i suoi collaboratori ci preparano, noi, che torniamo in questa piazzetta con gli occhi lucidi dall'emozione e le gambe stanche per la fatica, dobbiamo rinunciare alle castagne, il nostro cibo è nella nostra anima. Se vogliamo possiamo sempre mangiare il mallegato o il lardo o il salame, in fette di pane, mentre scendiamo veloci verso l'arrivo. Sotto il campanile di Granaiola, un gruppo di ragazzi, felice, con il sorriso della festa sul volto, la contentezza della gita con gli amici, saluta chi come me, passa, sorridendo.
Un altro Giro se n'è andato. E ora aspetteremo, senza fretta, quello del prossimo anno.
Andrea Bartalesi