IL GIRO DEI COLLI TERMALI A PASSO D'UOMO (ANCHE LE DONNE)
Edizione speciale, quella del Giro del Colli Termali 2010, non per i percorsi, conosciuti, ma per la data che ci porta alla Pasquetta, a questa voglia di "andare fuori" o "andare via" per campi assolati, a ruzzolar le uova, sode e ben colorate.
Le previsioni lo avevano pur detto: attenzione perché domenica diluvia, l'arca, se Noè sarà bravo troverà terra il lunedì mattina verso il Pianaccio, bella vista, Tereglio e la Val Fegana, sotto di voi, Vitiana un po' defilata, quasi timida, il Rondinaio, in alto. La notte precedente faceva correre i brividi lungo la schiena e non lungo le magre gambette bianche che escono da un lungo inverno, ma puntuali (come potevamo noi mancare?) eccoci a Fornoli, con un cielo che non sa cosa fare, intenzionati ad un'altra impresa.
Perché il Giro dei Colli Termali è un'impresa, sempre. Così guardando in giro le poche facce pensiamo che molti abbiano già affrontato i sentieri che li porteranno a Granaiola. Non ci facciamo prendere da voglia di rivalsa, magari solo un po' dall'invidia e ci incamminiamo. L'acqua ha lasciato tracce importanti, si scivola verso l'alto, tornando in basso, la corsa diventa malgrado gli intenti bellicosi, marcia, e nelle strettoie ci invitano a procedere a passo d'uomo aggiungendo "anche le donne". Questo giro di parole, spassoso, ci fa subito pensare che difficilmente le donne si adatteranno, anzi, troveranno il modo di una loro sana ribellione. Sarebbe stato più consono l'inverso perché l'uomo per diversi motivi si sarebbe "adattato" meglio al passo della donna. Sono secoli che lo fa!
Granaiola, raggiunta, ci sembra già l'isola felice nel mezzo all'oceano, quasi baciamo la terra, novelli papi, ma lasciamo gli Alpini imbronciati per il nostro disinteresse, quasi diniego, pieni di ricordi e di cibo pasquale come siamo. La folla si dirada, quasi tutti si volgono verso la 12 km. verso il basso, verso una discesa piacevole. Ma noi non vogliamo perdere l'occasione per andare: la strada per Pieve di Monti di Villa ci fa allungare (un pochino) le gambe e ci sentiamo rinfrancati. Il Rifugio Fiori ci viene incontro, le donne al ristoro ci chiamano alla voce, novelle Sirene, ci decantano le meraviglie offerte. Non possiamo passare oltre senza rischiare di finire nella Odissea di qualche altro Omero e ci facciamo denudare l'intera porchetta che giace sul tavolo con un pugnale nel petto. Sorride, dico, è felice di immolarsi per il Giro, aggiungo, con le sensazioni che mi porto delle tante letture sacre della Pasqua. Ma non è possibile assaggiarla, mi sembrerebbe un sacrilegio, profanare un'amica ormai, visto che ho indagato nel suo passato, ultimo prima dell'evento.
La casetta in alto ci indica dove arrivare, la camelia si è inzuppata d'acqua, macerandosi, l'erba è alta. Si scende per trovare la vecchia via selciata con grosse pietre che ci porta, dondolandoci, sul colle del Pianaccio. L'Arca non c'è, ma la Val Fegana è là, impassibile nelle nebbie bianche come cotone. Sul piccolo sentiero riconosciamo il Crocifisso, nessuno ha pensato di accendere un fuoco come due anni fa, è freddo, il bianco, sui monti, fra la foschia, ci fa pensare alla neve. Monti di Villa ci appare come un vecchio paese montano, allungato su un crinale, quasi stiracchiandosi, le case silenziose lasciano risuonare i nostri passi. Legna ben messe vicino alle case ci dicono che è un paese abitato da cristiani e non da fantasmi, ma nessuno per via, nemmeno un povero uomo con il cappello nero e una giacca di fustagno dalle tasche allargate, dove una tabacchiera conserva il tabacco per un pipa calda, tenuta nel palmo di una mano callosa. Ci sono solo gli addetti al ristoro che si agitano per riscaldare le membra vista la vicinanza della neve.
Il dilemma? Andiamo fino alla chiesina di Sant'Anna? Certo! E così saluto chi si defila, trovo un occasionale compagno, un bravo giovane, di quella zona dove i pisani non sono più pisani senza esser ancora fiorentini, ci facciamo compagnia guardando in giro, il Coronato, Il Prato Fiorito, così pelato, i castagni che ci fanno indovinare il tetto della Chiesina di Sant'Anna. Perchè è sempre chiuso questo nostro miraggio? Dovrò consigliare alla Renza di farlo aprire per i moderni viandanti che si trovano a visitarlo con il Giro dei Colli Termali. Invece, sotto il porticato da romitorio, in un angolo, due addette al ristoro ed un cacciatore dal cappello verde, ma vicini, quasi per annullare il freddo. Montefegatesi, sulla sinistra, ci appare come un invitante paese montano, pieno di fumo caldo negli ampi caminetti, odore di legna bruciata, donne sorridenti dalle guance rosse, "arcili" pieni di farina di castagne.
(Montefegatesi nela foto di Aldo Innocenti)
Vorremmo sapere e vedere, ma il freddo ci consiglia di tornare sui nostri passi, salire ancora sui piccoli colli, fra i frustoni di castagno, attenti alle foglie macerate che nascondono trabocchetti per le nostre caviglie stanche.
Il mio nuovo amico mi rivela di esser venuto per la prima volta a questa corsa, e lo dice a me che ci vengo dalla mitica edizione del 1975! Scherzi del destino. E' felice e soddisfatto di aver fatto più di 100 km, fra l'andare e il tornare. E pensare che la marcia delle Tre Province e del Pisano era a pochi km da casa sua. Allora gli faccio vedere l'orizzonte pieno di Apuane innevate.
Comincia la lunga discesa che per le condizioni atmosferiche diventa infida, mi concentro sulla strada, sulle pietre umide che sembrerebbero appoggi sicuri ed invece da evitare. Trovo il corto campanile quasi infilato a forza in terra, le due tartarughe sulla porta di casa (non invecchiano mai, ma mi sembrano ridipinte), ci tuffiamo nella valletta per risalire a Granaiola, quasi come sulle Montagne Russe dove non sono mai salito, e gli Alpini, tristi, bivaccano ancora nella piazzetta. Perdo l'amico pisano, penso che mi raggiungerà per via. Scendo per i campi fra gruppetti di ragazzi delle scuole che cominciano a essere stanchi, mi piace sentire l'odore dell'erba calpestata, poi quasi una parete, tornanti secchi ci fanno perdere quota, mi volgo in basso, verso il campo sportivo, verso le due strade e il fiume.
La salitella del cimitero mi ricorda che le mie gambe sono fatte di ossa e di muscoli (stanchi) e mi fermo al passo e penso che ancora una volta mi sono lasciato emozionare da questa che può sembrare una sfida, ma che invece è un'amicizia che ogni anno diventa più forte. Amicizia con i territori, con questi luoghi e questi sentieri che ormai conosco bene, le macchie dei paesi sui monti, come conosco i sorrisi di questi organizzatori sempre attenti, puntuali, gentili.
Anche quest'anno me ne vengo via in fretta e con un rimpianto: quello di non aver incontrato l'amico pisano all'arrivo per chiedergli il nome. Ma viandanti come siamo ci incontreremo ancora!
Andrea Bartalesi
le foto di Loredana Barsatti