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IL QUERCIONE - Sesta puntata

26/10/2020

a cura di Andrea Bartalesi

eccoci alla sesta puntata:

 

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Quello che più turbava Angiolina non era questo sentimento che improvvisamente aveva spalancato le porte della sua anima e come il vento di libeccio aveva agitato il mare dei suoi pensieri. Lei era spaventata dal fatto che l’oggetto dei suoi pensieri, il suo libeccio, fosse un tedesco. Non voleva sembrare una di quelle donne accondiscendenti e disponibili che pare (glielo aveva detto una sua amica al laboratorio) la sera si ritrovassero nella villa lungo la Via Pesciatina per rallegrare alcuni graduati tedeschi. Questo nei tempi passati perché ormai di tedeschi non se ne vedeva più e se non si vedevano più i soldati semplici figuriamoci i comandanti. Durante uno dei rari incontri con il suo soldatino parlò anche a lui di questa paura che le attanagliava il cuore. Non solo la paura che la madre scoprisse che lei aveva un innamorato, ma anche il terrore che suo padre venisse a sapere che questo innamorato fosse un tedesco, uno di quei tedeschi che lui tanto odiava. E poi anche che la gente, le sue amiche, le vicine di casa potevano dubitare che lei lo facesse non per amore, ma per facili costumi. Franz allora le parlò con fermezza: le disse che lui non aveva mai sparato ad un uomo, come era successo a Kurt e a Rudolf suoi compagni, e che non aveva mai ucciso come Kurt e Rudolf. Ma questo perché la fortuna aveva voluto così. Se si fosse presentata l’occasione avrebbe sparato e avrebbe ucciso, come Kurt, come Rudolf. La colpa di questa situazione era anche delle persone come lui che odiavano la guerra, che volevano una vita semplice, che non volevano potere e denaro, che non erano egoiste. Proprio così, perché quando nei loro paesi consegnavano volantini per ritrovarsi la sera per fare un nuovo stato, per fare una grande Germania, lui pensava che erano tutti esaltati e se ne stava a casa, la sera, a leggere, a studiare, a smontare quei motori che servivano per i lavori agricoli per il gusto di vedere come funzionavano. E quando migliaia e migliaia di uomini e giovani sfilavano in corteo urlando frasi nazionaliste, lui scrollava le spalle e passava dalle vie secondarie per non incontrarli. E come lui la maggioranza dei tedeschi. E poi quando il capo aveva detto che bisognava partire tutti avevano detto si. Ma a quel punto era tardi. Dovevamo intervenire prima, far sentire anche la voce di coloro che non erano estremisti, che non erano esaltati, fermare quei pochi che per i loro privilegi spingevano le masse.

“Noi dovevamo intervenire, capire che noi eravamo uomini, che era l’ora di comportarci da uomini, che non c’erano più papà e mamma a decidere, a fare per noi. Ma ormai è tardi, ”diceva” il nostro tempo ci ha portato un esempio e chi verrà dopo speriamo che ne tenga conto, che sia servito a qualcosa. Io, così giovane, mi sento ormai fuori luogo, sento che la mia generazione si è bruciata in questa enorme carneficina, in questi misfatti, in questo rogo. Ma non credere che chi sta venendo a salvarti, questi che sono osannati in ogni paese, che vi libereranno di noi e dei vostri aguzzini, anche loro sono mossi come pedine in una grande scacchiera. È la guerra che è sbagliata e non ci sono dei vincitori, dei liberatori, dei vinti, ma tanti perdenti. La guerra è sempre a difesa di poteri e privilegi di pochi, che come camaleonti sanno trasformarsi e ripresentarsi, sotto un’altra divisa, sotto un’altra camicia.”

E poi, Franz, disse una cosa che a lei aveva fatto scaldare il cuore:

“Non c’è cosa al mondo che non sia fatta per avere qualcosa in cambio. Solo l’amore” disse “è il sentimento puro che non vuole niente in cambio. E’ un sentimento che Dio ti da per farti sentire sua creatura.

Questo ho pensato stanotte sotto lo SchonegroBeiche (come Franz chiamava il quercione)”.

“Ma come mai se n’è andato, perché mi ha lasciata sola? Avevo tanto bisogno di lui, di parlare con lui, di stare accanto a lui.”

Pensava che era giusto che fosse andato via, non solo perché “prima vado via e prima torno” come diceva spesso, ma anche per i suoi sentimenti, per le sue nostalgie. Da cinque mesi non aveva notizie da casa, sapeva che le città erano bombardate, che c’erano stati molti morti, che le cose stavano andando male in Germania. Che la fame e la neve dell’ultimo inverno avevano fatto tante vittime. Aveva nostalgia degli occhi di sua madre e poi una cosa che era sembrata strana a Angiolina, voleva rivedere le mani di suo padre, con il loro movimento, quando mangiava, quando parlava. Le mani del padre.

Le aveva raccontato anche di come amasse il sole italiano, i profumi che si sentono nei campi la mattina prima che si alzi il sole, il profumo delle erbe, del finocchio, della menta e questo tepore che ti accarezza il corpo e ti invita a spogliarti. Però il suo corpo, non la sua mente, sentiva la mancanza delle nebbie e delle piogge, di quelle pioggerelline fini fini che lo bagnavano tutto.

“E’ strano” diceva “ma sento il bisogno di umidità. E’ quasi una sete del corpo, non della gola.  L’altra notte che è venuto quell’acquazzone, mi sono tolto la camiciola, sono uscito da sotto la quercia e mi sono messo in mezzo alla strada e ho preso tutta l’acqua che veniva e sentivo che dentro qualcosa si calmava. Credo che la mia pelle avesse proprio nostalgia di casa.”

Ecco, proprio la nostalgia di casa contrastava con la sua voglia di rimanere. Poi per lui tornare a casa, perdente, vedendo il dolore della sua gente, lo avrebbe redento, lo avrebbe fatto tornare nuovo. Gli avrebbe permesso di tornare come con un’anima nuova, vestito con una camicia bianca come dicevano al suo paese.

 

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Angiolina si alzò subito dal letto: dallo zio prete ci andava subito, a confessarsi. Gli avrebbe fatto bene parlarne con lo zio. Certamente l’avrebbe rimproverata, le avrebbe indicato la via da seguire. Era troppo agitata per stare a letto, le lenzuola scottavano. Si alzo subito perché, se si sbrigata, avrebbe fatto in tempo ad arrivare alla messa del mattino. Ma doveva correre perché non poteva passare dalla via breve, quella del quercione, quella dei tedeschi, quella di quel ragazzo, ma come si chiamerà? La strada del sorriso, con l’albero delle streghe e dell’amore. No, avrebbe dovuto passare su da Birillo, ma correndo un poco ce l’avrebbe fatta.

Arrivò in cima al colle tutta ansimante: l’aria era fresca, ma la strada era proprio una bella salita. Entrò in chiesa, si inginocchiò velocemente e prese posto in una delle ultime panche. Lo zio prete stava cominciando le prime preghiere. Poche anime disperate nella buia chiesa rischiarata da poche candele.

Sopra l’altare un Cristo in croce sembrava accogliere i suoi devoti a braccia spalancate con l’espressione dolente che il periodo e le miserie del momento evocavano.

Angiolina chinò il capo fra le mani, quasi a trattenere il cuore dentro di sé, il cuore che batteva per la strada fatta così in fretta. Il velo, ricordo della nonna, le scendeva dai capelli lungo il volto e ne prese un lembo nell’angolo di sinistra della bocca perché sentiva una voglia enorme di pianto. Sentiva formarsi, dentro gli occhi, grossi grumi di tristezza di un celeste trasparente. Lo zio si volse dall’altare e invitò i presenti a pregare, lei alzò gli occhi e…. “Ma quel ragazzo là vicino alla colonna….Angiolina è impossibile, ci manca anche che tu ora abbia delle visioni e poi sei arrivata. Se continui così vedrai anche la Madonna fra gli alberi e così via, ma guarda che scherzi fa l’amore. No, ma guarda come gli somiglia, se si voltasse solo un pochino… ma è lui, si è voltato, oddio, mi ha visto, mamma mia mi ha sorriso, ma che ci farà in chiesa, ma come mai sarà qui. Mi sembrava di saperlo, qualcosa mi spingeva, qualcuno mi ha spinto quassù. E ora? Ecco che mi guarda ancora. Non l’avevo visto bene e anche qui non è molto chiaro anzi come mai zio non ha acceso qualche candela in più. È proprio uno spilorcio, quel brav’uomo.”

La messa finì in un amen. Angiolina, appena lo zio prete uscì dall’altare, si alzò per andare subito in sacrestia, per evitare l’incontro che desiderava più di ogni altra cosa al mondo, ma che doveva evitare. Entrò nella buia stanzetta e lo zio la salutò sorpreso per come era entrata, come prima si era sorpreso di vederla in chiesa, perché la nipote, brava ragazza, non è che fosse una di quelle assidue frequentatrici delle funzioni. Niente da rimproverare, ma nemmeno niente da lodare.

“Zio scusami, ti volevo salutare, volevo pregare un po’ il Signore per tutte queste brutte cose che stanno accadendo, sai il babbo è ancora al bosco, per via dei tedeschi che sono arrivati sotto il quercione e a casa siamo tutti inquieti.”

“Sì lo so, Angiolina, fai bene a pregare perché la preghiera è l’unica cosa che può aiutarci. Dobbiamo mettere la nostra vita nelle mani di Gesù e sperare nella sua grande misericordia…”

“Sì zio, volevo anche confes…” mentre stava finendo la frase, entrò Ezino, il sacrestano:

“Mi scusi don Carlo, oh non mi ero accorto che c’era l’Angiolina, Angiolina come stai? Tutti bene a casa? Ah volevo dire Don Carlo che in chiesa c’è…”.

“Ezio vedi, devo finire di parlare con Angiolina, fai aspettare.”

“No Don Carlo,,,, si, lo so, ma vede è un tedesco quello che vuol parlare con lei. Ha detto: Dica al priore che Franz vorrebbe confessarsi. Capisce un tedesco vuole confessarsi, qui da lei.”

“E allora Ezio che male c’è? Oh Santo Dio cosa mi fai dire, voglio dire che anche un tedesco è una creatura di Dio, che anche lui deve confessare i suoi peccati, se ha fatto dei peccati, e Dio sa se li hanno fatti…. O Gesù misericordioso cosa dico.. tutti siamo uguali di fronte a Te e nessuno è superiore agli altri, come nessuno è inferiore a questo povero prete che cerca di servirTi con umiltà senza riuscirci. Angiolina mi scusi un attimo?”

“Zio vado via tanto torno presto. Ho ricordato che devo andare a casa.” In quel mentre entrò Franz. E mentre salutava Don Carlo con riverenza, si volse verso di lei con il sorriso solito, quello di poco prima in chiesa, quello del giorno prima, quello che le faceva piegare le ginocchia. E disse “Buon giorno signorina” con un italiano duro ma molto buono. Lo zio prete interruppe i suoi sogni:

“Angiolina aspetta un attimo in Chiesa, devo dirti una cosa per tua madre; venga Franz, mi sembra che si chiami così vero? Si accomodi in questa panca che possiamo parlare un poco...”

E fu così che i due si conobbero, che fecero conoscenza dei loro nomi e delle loro voci.

 

la settima puntata il 03/11/2020