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IL QUERCIONE - Ultima puntata

02/11/2020

a cura di Andrea Bartalesi

Ed eccoci all'ultima puntata:

°°°

Al laboratorio quella mattina c’era un’agitazione nuova, c’era sentimento di primavera, anche se gli alberi la loro primavera l’avevano già sentita da un pezzo. Quella del laboratorio era la primavera delle anime, della speranza, della fiducia. Come quando siamo arrivati in fondo, quando non abbiamo più niente da perdere, basta un barlume, una piccola speranza, un’illusione a cui aggrapparsi, a volte basta un sogno. Quella mattina invece la primavera era arrivata con dei fatti concreti: un carro armato americano stava perlustrando la zona. Dai boccaporti anche un italiano con tanto di fascia tricolore al braccio.

“Gli americani sono arrivati a Porcari, sono stati ricevuti in Piazza del Comune. C’era anche un nuovo sindaco e tutti i partigiani schierati. La guerra è finita, i tedeschi se ne sono andati, pare che si siano fermati in Garfagnana, ma è questione di poco, poi tutta l’Italia sarà libera. Ecco il carro armato, tutti fuori a salutare, a sventolare fazzoletti, ma guarda che bell’americano ferma, ferma, un bacio, un bacio, benedetti, grazie, grazie. Angiolina tu non lo baci quell’americano? Bravi! Viva l’Italia.”

 

 

ÄÄÄ

 

Il primo bacio di Franz lei lo aveva avuto sotto il quercione. Una sera, quasi all’improvviso, i loro corpi erano vicini, troppo vicini, si sfiorarono per evitare un ramo d’acacia, i due volti al buio, i respiri per un attimo si confusero fra loro.

Un rumore di rami, agitati da un vento improvviso, un volo di streghe, si sarebbe detto, o il volo di mille angeli. Solo un fatto di colore d’ali nel buio, un colore di luce che non ha colore, una luce indovinata da occhi chiusi spalancati sulla gioia dell’amore.

Dopo, Angiolina disse: “Che è stato?” Franz rispose: “Ti ho baciato, tu mi hai baciato in questo angolo meraviglioso della terra.”

“No, dicevo il rumore.”

“Quale rumore? Io non ho sentito nessun rumore.”

“Ma come non hai sentito nessun rumore, non hai sentito ali che battevano o forse scope che portavano a spasso vecchie streghe?”

“Ma Angiolina cosa dici..”

 “Tu Franz non puoi capire, forse un giorno, quando avremo tempo, ti racconterò.”

 

 

ÄÄÄ

 

“Angiolina, Angiolina i tedeschi se ne sono andati dal quercione, i carri armati non ci sono più. Hanno smesso di rimpiattarsi sotto il nostro albero sperando che gli aerei spia non li vedessero. Se ne sono andati a nord, speriamo per sempre, quei farabutti. Dai metti il lenzuolo alla finestra così babbo può tornare a casa. Ma dove vai, vieni qua, dove corri Angiolina…”

Angiolina in quattro salti corse sotto il quercione. In terra solo i segni dei cingolati e un po’ d’olio dei motori. Quelle lacrime che aveva sempre trattenuto stavano uscendo senza alcun permesso, spudoratamente. Correvano lungo le gote rosse, accaldate. Gli occhi le bruciavano e qui, sotto la gola, si sentiva strozzare da una mano che non vedeva.

Vagò sotto il grosso albero che soffriva con lei, contorcendo i suoi rami.

Alle spine del ramo dell’acacia, colpevoli del loro primo bacio d’amore, un foglietto.

“Angiolina, tornerò.”

 

 

Epilogo

 

L’altra mattina ho incontrato Angiolina. Si è sposata, ha tre figli, otto nipoti, l’aspetto tipico della contadina toscana ottantenne. La pezzuola a fiori portata a bandana su una testata di bianchi capelli, le mani, devastate dall’artrosi e dai lavori dei campi, tenevano le becche inferiori del grembiule così da ricavare un recipiente dove portava granturco per le galline. Strinse gli occhi per riconoscermi, mettendomi a fuoco nella luce abbagliante del sole. Era tanto che non la vedevo, ma mi riconobbe, come io avevo riconosciuto lei.

“Come va Angiolina? E Franz poi…”

“Non è ancora tornato, sai” e si interruppe un attimo e poi continuò:

“Penso che ormai non tornerà più.”

Mi guardò ancora per qualche istante con il suo sguardo che era pieno di pietruzze nere che luccicavano e, d’improvviso, vuoto come occhi inutili di un cieco.

La guardai scendere con il suo passo incerto e dondolante verso il pollaio e mentre con una mano apriva il cancelletto sgangherato, cominciò a chiamare “bille, bille…”

 

 

Note

 

Il racconto da me scritto è nato da alcune storie locali, elaborate dalla mia fantasia. Le persone, i fatti, i nomi o quant’altro, sono immaginari. La collocazione invece è reale. Il quercione esiste e mostra la sua straripante bellezza poco sotto la Chiesa di San Martino in Colle, nel Comune di Capannoni, ma molto vicino a Montecarlo.

Ho letto degli “streghi” in un articolo del Tirreno a firma Giampaolo Simi e ho trovato curiose interviste sul sito dell’Associazione Culturale La Giubba a cura di Umberto Bertolini.

Ho cercato le “atmosfere” del passaggio della guerra a San Martino e zone vicine e le ho trovate nel “Diario di una vita” di Arcangelo Toschi.

 

 

Porcari gennaio 2004