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IN BICICLETTA - novella di Andrea Bartalesi

22/06/2024

a cura di Andrea Bartalesi

IN BICICLETTA
novella di Andrea Bartalesi
Lui lo sapeva bene. Glielo aveva detto anche Vincenzo, alle elementari, che era
meglio non avere un padre, piuttosto che avere un padre che non avesse l’Alfa Romeo.
Sapeva tante cose. Tutte partivano da suo nonno. Non che suo nonno potesse
avergli detto tutte le cose che sapeva, ma quello che gli aveva insegnato aveva
riempito la sua vita.
Gli aveva fatto girare il mondo, suo nonno. In bicicletta, a sedere sulla canna della
bicicletta. Ricordava ancora che ci metteva un guanciale e come fosse un po’ logoro e
un po’ bisunto. Lo aveva portato da tante parti.
Era stato perfino in Malesia e aveva visto anche le tigri. Poteva dire di essere uno
dei pochi ad aver visto la tigre azzurra. I suoi occhi, un misto di pietra gialla e di
fuoco celeste ti spiavano dai cespugli di certi boschi fittissimi. Lui e suo nonno
giravano con il machete in mano. Meglio non fidarsi, gli diceva. Ricordava ancora
come pesava quel vecchio coltellaccio tutto arrugginito.
Quanti soli aveva visto, soli che scoppiavano come fuochi d’artificio e illuminavano
tutto il mondo, anche dove c’era sempre buio. Aveva visto tanti mari e le tempeste, le
onde alte come alberi o come case. Quelle come case erano più basse di quelle come
alberi perché al suo paese non c’erano case molto alte. Alberi invece ce n’erano di
altissimi.
Le vele bianche nel nero della tempesta che si avviluppavano all’albero maestro,
cantavano e fischiavano con il vento, tanto da non sapere più se fosse il vento, il
mare, le vele o il cuore. Quante volte si era rotto l’albero e loro avevano dovuto
pregare per salvarsi e tornare a casa.
Sulla luna ormai erano di casa. Avevano cominciato ad esplorare altri mondi, dai
nomi difficili. Lui non sapeva nemmeno che ci fossero. Lo aveva domandato anche
alla maestra, ma neanche lei lo sapeva.
Non era mica un poveraccio suo nonno! Aveva una bicicletta Bianchi, di quelle
sportive, mica un ferraccio nero con i mancioni nelle gomme. Vincenzo non sapeva
nemmeno cosa erano i mancioni. Glielo aveva detto lui, una mattina. E con rabbia.
Pensava a come era analfabeta quel presuntuoso. Vincenzo alzò le spalle, affermò che
suo padre se avesse avuto una bicicletta, se avesse forato, avrebbe cambiato anche la
camera d’aria e il copertone. Altro che mancione, che faceva sempre un balzo e sentivi
il colpo nella coscia, quella a contatto con la canna della bicicletta. Lui gli disse che
non gli avrebbe mai fatto fare un giro con la bicicletta di suo nonno. Vincenzo rispose
che non gli importava niente, aveva alzato le spalle, ma dagli occhi lo vedeva bene
che soffriva.
1
Un giorno, lui e suo nonno, partirono presto ed arrivarono in Patagonia, proprio
così, e anche nella Terra del Fuoco. Era rossa. Ma non rossa come le matite, ma un
rosso come a volte era il cielo, la sera, quando il sole non si decideva a scendere dietro
i monti, verso il mare. Perché lui lo sapeva che dietro quei monti c’era il mare.
Partivano sempre di là quando viaggiavano in mare. C’era un porto che non finiva
mai, a perdita d’occhio, e le navi erano tante, tutte belle. Anzi erano bellissime. Per
suo nonno tutto era bellissimo o grandissimo. Forse questo era un suo difetto. Glielo
domandava, a volte, come fosse possibile che tutto fosse grandissimo. Ma le cose
normali non le fanno mica nel mondo dove ti porto io, gli aveva risposto suo nonno.
Gli aveva insegnato a guardare i monti. Sembravano cose lontane, un solo oggetto,
un mucchio di colore celeste cenerino. A volte erano anche di un tenero violetto. Ma
quando tirava la tramontana ed erano costretti a casa, suo nonno gli faceva vedere
dalla finestra i crepacci e le vette, la neve sui prati, gli diceva dove c’erano i paesi, le
case, i boschi.
Gli aveva insegnato anche a pregare, suo nonno. Gli diceva di studiare bene cosa
aveva detto Gesù. Non preoccuparti di quello che dicono i preti, gli diceva, vogliono
sempre più potere. Diffida del potere e di chi l’ ha. Per la ricchezza ed il potere l’uomo
fa delle cose orrende, che non crederesti mai. L’uomo vuol comandare, primeggiare,
vuol fare la ronda come un pavone e possedere sempre più soldi. Anche di Paperon de
Paperoni. Ricordatelo sempre. Stai lontano da chi ha potere e soldi!
Voleva che fosse semplice. Ma lui non capiva cosa volesse dire semplice.
Ma io sono semplice, non sono complicato, mi capisco benissimo. Gli rispondeva.
Semmai erano le parole di suo nonno che a volte non capiva.
Poi le capirai, poi le capirai, gli rispondeva sempre. Aveva ragione.
Gli raccontava di Gesù, della sua vita e di quello che era venuto a fare.
Non ti preoccupare se è stato veramente il Figlio di Dio. Non è importante. Amalo
con il cuore, non cercare di lui con l’intelligenza. E’ importante quello che ha detto e
quello che ha fatto. Perché dire si dicono tante cose, tutte bellissime. Farle poi è
difficile. Molti non ci pensano neanche a farle! Da te le pretendono, loro sono esentati
perché sono ricchi, perché sono potenti, perché sono vicini a Dio e sai quante altre
scuse trovano per insegnare a te quello che loro non faranno mai? Tu pensa a Gesù,
leggi il Vangelo e ci troverai tutto quello che ci vuole per andare avanti. Ti insegnerà
ad essere umile e ad ascoltarti. Ognuno deve avere un orto degli ulivi per pensare e
valutare. Ma meglio ancora un deserto, dove nessuno ti potrà disturbare. Ti insegnerà
a non essere dipendente delle cose del mondo, del valore, del possedimento.
Gli diceva così, ma lui sapeva che non aveva bisogno di leggere, tanto c’era suo
nonno che gli diceva tutto. Non pensava alla morte, era una cosa che non lo aveva
ancora toccato e quindi per lui tutti sarebbero vissuti un’eternità. La prima volta
glielo insegnarono i preti che c’era la morte. E gli dissero che doveva fare il bravo,
pregare, andare in chiesa, altrimenti quando moriva andava all’inferno.
Dell’inferno suo nonno non gli aveva detto niente. Ma del resto non poteva mica
dirgli tutto!
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Non la prendere male, dai. Io del resto non ti ho mai fatto capire che fra noi ci
potesse essere qualcosa di più della semplice amicizia.
Mi dispiace. Credi che non ci abbia pensato?
Che c’entra, io a te ci penso, si, ma come a un conoscente. Al massimo come un
amico.
No, non potrei immaginare una vita insieme con te. Ma non hai nemmeno la
patente!
Non lo sapevo che anche Guccini non ha la patente, ma cosa c’entra?
Certamente, ma lui avrà tante persone che lo portano in giro. E io? Quando devo
andare in giro? Certo che l’ ho la patente! Potrei guidare io anche per te?
Ma perché non l’ hai mai voluta prendere?
Che c’entra la fantasia ora con la patente?
Vedi, fra l’altro, io a volte non ti capisco. Non sei chiaro. Dici delle cose astratte,
parole insensate che non hanno una logica.
L’amore non è logico? Che c’entra se l’amore non è due più due fanno quattro. Lo
vedi che non ti capisco?
Certamente che io so come è l’amore. So anche quello che voglio dal mio uomo che
io sposerò.
Come fai a sapere che io non ho mai amato? Sei anche presuntuoso, ora. E che
importa a te se io ho amato?
Ma chi ti ha detto che l’amore è così?
Io l’ ho visto al cinematografo, ma quelle sono storie, sono avventure per farti
piangere. Immagina come mi potresti salvare da King Kong per potermi amare! O
farmi piangere con una chitarra in mano!
Ah lo sai! Ma se non sai nemmeno suonare una chitarra!
Lui sapeva benissimo far cantare una chitarra! Quante volte in serate di solitudine,
buie e senza luna, aveva visto uomini camminare decisi, alteri, un garofano
all’occhiello. Uomini delle periferie, dove brillano coltelli e suonano chitarre. Milonghe
o tanghi tristi e fieri, come gli uomini. Quante donne aveva visto prendere i garofani
dagli occhielli, metterli di traverso, in bocca, e guardare con aria di sfida, prima di
essere trascinate nella lussuria di un tango.
Lui le conosceva bene.
Avrebbe voluto conoscere meglio il vento che veniva dalle Pampas, non era riuscito
a sentirlo veramente. A volte credeva fosse caldo, a volte freddo. Sapeva solo che era
un vento, niente più.
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Dai suoi viaggi non riportava solo immagini, ma suoni, sensazioni. Voleva toccare
le cose e le risentiva, dopo, sulla punta delle dita. Sentiva le brezze delicate venire dal
caldo deserto, con il profumo della rucola selvatica che la rugiada e il freddo
custodivano di notte e il torrido sole umiliava di giorno. Ne sentiva non solo il
profumo, ma anche il sapore. Il profumo entrando dal suo naso lasciava scivolare
sulla sua lingua lo strano profumo.
Suo nonno gli aveva insegnato a chiudere i sensi che non servivano quando voleva
registrare qualcosa nel suo cuore. Chiudi gli occhi se vuoi ascoltare e tappati gli
orecchi se vuoi vedere. Era stato la sua guida. Anche Dante, quando era andato
all’Inferno aveva Virgilio come guida. E l’aveva cambiata, la guida, per andare nel
Paradiso. Strano che ci fosse andato con Beatrice, la sua musa ispiratrice, la donna
che aveva richiamato il suo amore ambiguo e forse solo letterario o immaginario
quando ancora era bambina. Ma lui del Paradiso non sapeva niente. Non aveva
nemmeno letto il libro. Suo nonno gli aveva detto fai vista che non esista il Paradiso.
Non devi comportarti bene solo per ottenere una ricompensa eterna. Così come non
devi osservare le leggi solo perché altrimenti prenderai una punizione. Le punizioni e i
premi sono per coloro che non hanno cervello. Tu il cervello lo hai e devi sapere cosa
devi fare perché così un uomo si deve comportare. Certamente sbaglierai, non una
volta né cento, ma dovrai correggere in te l’errore e il premio sarà in te, perché sarai
riuscito a correggerti. Era morto troppo presto suo nonno. Anzi non doveva proprio
morire suo nonno. Gli aveva detto un giorno, al ritorno da un viaggio nel paese di
Mille e una notte, che una domenica avrebbe incontrato una donna e quella donna
sarebbe stata tutta per lui. Ti farà sognare. Ti farà anche soffrire, ma non potrai farne
a meno. Che buffo! A volte penso che se Dio non avesse voluto dare all’uomo una
compagna forse oggi saremmo sempre tutti nel paradiso terrestre, nell’Eden, a
rincorrerci nudi, a giocare a rimpiattino, senza pensare ai giorni che passano e,
nell’eternità, i fatti, accavallandosi, non avrebbero logica, né successione. Diceva così
suo nonno. E lui non lo capiva. Poi un giorno gli spiegò cos’era l’eternità e allora capì.
Ora lui sapeva.
Sapeva che avrebbe voluto avere una donna da portare al fiume e portarla indietro
sporca di baci e di sabbia, come il gitano di Lorca. Ma non quella donna e nemmeno
una donna qualunque. Avrebbe avuto la sua donna. Perché lui avrebbe avuto una sua
donna. Ci avrebbe messo uno o cento anni. Che importanza aveva?
Doveva essere la sua donna: fiera e con il collo alto, i capelli neri, e gli occhi come
due praline di cioccolata. Occhi caldi, teneri, dolci, ma da non inquinare con nessuna
immagine indiscreta e sporca del mondo.
Ma poteva essere diversa, anche bionda, e tenera e gli occhi celesti, quasi bianchi, e
la nuca delicata, con i capelli fini che non volevano stare al loro posto.
Conosceva lo struggimento della mancanza di lei. Con la mente la evocava, la
materializzava in uno specchio, nello specchio logoro di camera sua, ci parlava, le
diceva tante cose. Lei rispondeva ed era fiera e timida, secondo sere. Ma i suoi occhi,
accanto ai suoi, nello specchio, brillavano come brillano gli occhi quando si soffrono
pene d’amore.
Un giorno aveva incontrato la donna dello specchio per strada. Era una donna. Ma
non era come tutte le altre donne. Non aveva i capelli neri e non li aveva nemmeno
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biondi. E poi non l’aveva incontrata quel giorno. La conosceva da tanto tempo, ma
quel giorno la incontrò in modo diverso. Riconobbe in lei la donna dello specchio. E
da allora pensava sempre a lei. Avrebbe voluto insegnarle quello che gli aveva
insegnato suo nonno, ma lei non voleva. Voleva la patente. E la macchina. Magari
un’Alfa Romeo. Altrimenti suo figlio, quando sarebbe andato a scuola avrebbe trovato
il figlio di Vincenzo che gli avrebbe detto, meglio non avere una padre che averlo, ma
senza l’Alfa Romeo.
Certo che i miei capelli sono rossi. Me li tingo? Ma oggi vuoi proprio offendere, mi
vuoi far arrabbiare? Sono rossi e sono miei.
Credo sia un rosso irlandese. No, sicuramente non è il rosso Tiziano. Non l’ hanno
mica in tante i capelli rossi. Pensi che io sia stata vanitosa a controllare di che rosso
si trattava? Dai, smettila con questi discorsi.
Guarda mi hanno detto di tutto dei miei capelli, ma un complimento così bello non
me l’ aveva fatto nessuno. Come hai detto? Un cielo incendiato di sera. No. Dillo di
nuovo.Un cielo incendiato al crepuscolo, dopo una calda giornata di luglio.
Ma dove le trovi queste frasi?
Chissà quante donne confondi con le tue parole.
Beato te che hai vissuto una serata così in Irlanda. Ma tu quando ci sei andato in
Irlanda? No, non lo sapevo. Ti conosco da sempre, ma non lo sapevo. Sei andato in
aereo? Ecco vedi che sei strano, ma strano! Siamo qui a parlare, mi sembra di parlare
con una persona normale ed ecco che ricominci a fare il matto! In bicicletta!
Anche in Irlanda sei andato in bicicletta! Non l’ ho con te, ma con me stessa che ti
sto a sentire.
Un giorno che non tirava tramontana, ma che era limpido come se tirasse, era
andato in montagna. Era partito presto, in bicicletta e c’era andato davvero. Evitava i
paesi, ma vide che si trovavano proprio dove aveva pensato. Aveva cominciato a salire
per stretti sentieri, fra i castagni, prima, i faggi dopo. Non aveva mai visto i faggi. Gli
piacquero. Quei fusti macchiati, quelle radici che si aggrappavano alle rocce e ti
davano l’idea di quanto, fin da giovanetti, avevano dovuto lottare con il vento, con la
neve, con il ghiaccio e il disgelo. Camminava sempre verso l’alto. Non sapeva cosa
voleva né perché era andato lì. Erano giorni inquieti per lui. Voleva una donna, anzi
la donna, quella dello specchio che aveva riconosciuto per strada, ma non riusciva a
comportarsi come lei voleva. Sciupava sempre tutto al momento più bello. Era agitato
e indeciso. Forse lassù cercava il nonno. Inconsciamente pensava che lo spirito di lui
fosse nei luoghi che amava e dei quali parlava. La parte corporea ormai era perduta
per sempre. Lo spirito invece era entrato sicuramente nello spazio eterno. Così
dicevano tutti, Suo nonno veramente diceva che l’anima dell’uomo nasceva con lui e
quindi, nascendo, non poteva essere eterna, come tutte le cose che hanno un inizio. A
quel punto parlava del Buddismo, che diceva di conoscere solo per le nozioni che si
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sentono in giro, ma che con la reincarnazione forse cercava di giustificare l’eternità
dell’anima.
Il sole era alto sulla sua testa. Sudava, si asciugava con la manica della camicia e
saliva. Ogni tanto si voltava e guardava indietro, la valle, le macchie rosse dei paesi
fra il verde degli alberi. Rosso mattone chiaro, illanguidito. L’affanno del respiro
sembrava mitigare l’affanno dell’ansia che aveva nel cuore. Si fermò sotto un ultimo
faggio, prima del verde, prima del bianco delle pietre. Vide cavalli al pascolo e sentì il
silenzio, anche se nell’aria c’erano rumori. Pensò al vuoto assoluto, chissà perché.
Riconobbe che quel momento non era vuoto. Era pieno di luce, di colori intensi, di
quel silenzio che esaltava i minimi rumori. Sentivi cose che forse stavano accadendo
sul monte di fronte. Si guardava intorno per individuare da dove venivano. C’era
anche una sgradevole motosega che gracchiava lontana. Mangiò qualcosa che aveva
portato con sé. Vicino un rivoletto che usciva fra due pietre lo incuriosì e assaggiò
l’acqua, prima con sospetto, poi a sazietà.
Era bello e lui sentiva di esserci già stato, di fare cose che già conosceva. Gli
sembrava di cercare conferme.
Tornò a camminare e giunse alla cima. Si sentì in alto, sensazione strana. Era nel
cielo, bastava spiccare un salto e staccarsi da terra anche un solo istante. L’azzurro
era attorno a lui, non più lontano, sopra gli alberi, i fumi, le nuvole. Si sdraiò per
terra per vedere meglio il cielo.
Stava bene, ora, e, anche se era molto stanco, non lo sentiva. Aspettava. Pensò
all’orto degli ulivi e al deserto e gli sembrò di essere in un posto così, solo con se
stesso e con Dio. Senza i rumori e le distrazioni del mondo. Anche se quel cielo lassù
e quel nero uccello che girava, girava, saliva, spariva e poi ritornava…
Sentì parlare suo nonno, ma non lo vide. Gli disse ancora di essere felice per quello
che aveva, di non essere invidioso per quello che non aveva. La gelosia come l’invidia,
sua sorella, erano le peggiori malattie dell’uomo. Ora ti senti bene, sei in pace con te
stesso e con Dio. Non staresti così bene a Cortina a pensare a tutti i soldi del mondo.
Sii semplice, non cambiare, ama e vedrai che chi ti ama, ti capirà.
Si svegliò improvvisamente con la consapevolezza di dolori diffusi sotto di lui, nelle
sue ossa, nei suoi muscoli. Vide intorno a sé il chiarore della luna e delle pietre,
marmi bianchi fra i rari ciuffi di erba, che ora apparivano neri. Si alzò, ma il venticello
notturno, freddo, lo convinse a cercare un posto riparato dal vento, un poco più sotto.
Pensò di essere l’unico uomo sopravvissuto ad un’immane tragedia. Guardò giù,
lontano, verso il suo paese. Non vedeva niente, ma i fumi delle ciminiere si. Pensò
alla donna dello specchio. Aveva cercato dal nonno un insegnamento, ma, come
sempre, gli aveva detto cose strane, strane, alle quali aveva bisogno di pensare a
lungo prima di darsene una spiegazione logica. Lui non voleva i soldi del mondo, lui
era andato per sapere come poter avere lei. E lei non lo amava, glielo aveva detto. Poi
lui era così maldestro che appena parlava rovinava tutto. Ma gli aveva detto, suo
nonno, di rimanere semplice come era e di non invidiare, di non essere geloso di
niente. Aveva capito però che tutto dipendeva dalla donna dello specchio. Chi non ti
ama, non ti capirà. Se ti ama ti capirà. Questo non lo aveva detto, ma era la
conseguenza logica della prima frase. Disse fra sé: Che me ne farei di una donna che
non mi ama? Come potrei scaldarmi con un fuoco che non esiste?
6
Vide arrivare il mattino e il sole all’orizzonte prima si annunciò con tenue fumo
rosa e, finalmente, esplose nella sua grandezza. Lo aspettava quel sole, aspettava il
suo calore, per ristorare il suo fisico stanco e infreddolito. Non pregò. Disse solamente
grazie. Guardava in alto. Non sapeva nemmeno lui a chi lo avesse detto. Se al nonno,
al sole, o forse a Dio che racchiudeva tutto.
Ciao, sono contenta di vederti. Ma dove sei stato? In montagna e sicuramente in
bicicletta, vero? Dai non ti rabbuiare, sto scherzando. Raccontami, ma prima voglio
dirti una cosa: ho capito i tuoi viaggi in bicicletta. Del perché della bicicletta. Ma
potevi dirmi che la bicicletta non era altro che la tua fantasia?!
Ma come hai fatto a trovare i sentieri? Ma non eri stanco dopo tutta quella strada
in bicicletta? Se me lo dicevi ti accompagnavo in macchina. I faggi saranno alberi,
come tutti gli alberi, con le foglie e i rami. Le radici cosa possono avere di così bello?
Non pensavi che quell’acqua poteva essere inquinata, che potevi sentirti male,
lassù, solo, fra quel silenzio spettrale, quel chiarore lunare, quelle pietre bianche,
spuntoni aguzzi che potevano ferirti, e gli animali selvatici, le vipere, lo so che la
notte non camminano, ma insomma stendersi in terra senza una coperta, dormire,
sognare? Non ho capito di chi era la voce che hai sentito, se di tuo nonno o di Dio.
Hai ragione, che importanza può avere? Importante è quello che deve averti detto.
Sai che t’invidio? Io non sarei potuta venire con te, certamente. Non ho la forza e
poi ho paura di tutto. Solo sentire il verso di una civetta mi fa una paura! Ma il sole,
dimmi del sole, come doveva essere bello. E le ombre che ..scappavano velocemente
nelle vallate. Ma dove trovi queste espressioni? I libri, i libri. Vorrei leggere anch’io,
ma la sera mi metto davanti alla televisione e mi lascio prendere..
Da domani…
Ciao
Ah, senti, un giorno mi porti con te in bicicletta?
La prima cosa dovrà gonfiare le ruote, gonfiarle bene, perché un fatto è andare uno
solo in bicicletta e un fatto è andarci in due. Lui lo sapeva bene. Poi doveva pulirla.
Come avrebbe pulito il salotto se fosse andato a trovarlo il sindaco o il prete. Anzi
molto di più perché la persona attesa era grandissima e importantissima. Avrebbe
voluto comprare una bicicletta nuova. Poi si pentì d’averlo pensato. Pensò che era un
peccato non poter cancellare le idee sbagliate che a volte si fanno, come cancelliamo
un errore di scrittura. Era un peccato lasciare lì un pensiero così profanante. Disse
solo uno scusa nonno, ma non era tanto per dire qualcosa. Quella che aveva, di
biciclette, era bellissima. Si accorse di usare tutte parole esagerate, come suo nonno.
Rise fra sé.
C’era da pensare dove andare. Lui lo sapeva. L’avrebbe portata al guado e avrebbe
attraversato l’acqua e le avrebbe detto di alzare le gambe, per non bagnarsi e
avrebbero riso. E se poi nel mezzo alla Visona una pietra, un sasso, una buca,
avessero fermato la ruota? Ma non è mai successo, vuoi proprio che succeda ora?
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Erano partiti dalle ultime case del paese, dove lei aspettava, seduta in macchina.
Lui era arrivato in bicicletta e nell’imbarazzo del momento, nella vicinanza di lei (la
toccava, la sfiorava per la prima volta, aveva ritegno anche a respirare) quasi
dimenticava di mettere fra lei e la canna della gloriosa Bianchi quel guanciale di suo
nonno. Aveva cercato di togliere quell’aspetto di unto bisunto al guanciale, ma con
scarso successo..
Le disse di tenere le gambe in avanti, un piede, quello sinistro più avanti del destro,
ma quando lei sedette tutto sembrò spontaneo. Solo l’equilibrio sembrava
problematico. Non andava d’accordo con il titubare. Quando uno va in bici lo deve
fare con sicurezza, non può titubare, perbacco. Ma le cosce di lui, allargate al
massimo, non potevano fare a meno di sfiorare i fianchi e la coscia di lei, le braccia
dovevano arrivare al manubrio, potevano non abbracciarla? Ma l’imbarazzo durò solo
nelle prime ventidue pedalate. Poi tutto fu bellissimo. Il respiro di lui sfiorava la nuca
di lei e il suo corpo circondava il corpo di lei, lo proteggeva, proprio così. Lei, del
resto, si sentiva certamente protetta da lui e stava bene sentendosi sotto il suo
controllo. Lui lo sapeva, perché quando era suo nonno in quella posizione lui aveva
proprio sentito quelle cose, quelle sensazioni, quei piaceri.
Era fatica pedalare con le gambe così larghe, ma non voleva sembrare di
approfittare delle circostanze. Il corpo di lei, così vicino, così… così… corpo gli
eccitava la mente, gli dava euforia e questa lo aiutava a superare l’imbarazzo e la
fatica. Avrebbe fatto il Giro di Francia, così, pensò e disse forte.. “magari”. Lei, che
aveva sentito, disse che hai detto? E lui niente, guarda come sono grandi quegli
uccelli bianchi laggiù, sembrano aironi, ma no che non sono aironi, ma che
importanza ha come si chiamano? Non siamo mica ornitologi!
Voltò a destra per uno stretto argine, le canne secche di traverso schioccavano al
passaggio della ruota, gli uccelli, quelli bianchi e quelli cenerini, si alzavano in volo al
loro arrivo e battevano le lunghe ali. Lui pensò ai mulini a vento e disse sembrano
mulini a vento. Lei pensò che forse domani avrebbe detto di essere stato in Olanda.
Rise fra se, anche le labbra si aprirono in un sorriso.
Arrivarono al guado, la leggera discesa, la velocità che aumentava, di là c’era da
uscire e risalire, bene, ma il peso di due persone adulte… l’acqua forse era maggiore,
il ghiaino forse più alto, la bici si piantò e l’equilibrio venne a mancare. Lui mise
piede nell’acqua sulla sua sinistra, ma non bastò, lei saltò nell’acqua dallo stesso
lato. Lui scese in qualche modo dalla bici, nell’acqua che gli arrivava sopra le caviglie,
mortificato, arrabbiato. Uscirono dall’acqua e lei rideva forte. Si piegava in due dalle
risa. Lui non rideva. Avrebbe imprecato se fosse stato abituato a farlo. Taceva
sprizzando rabbia. Lei rideva alzandosi e ripiegandosi in due. Lui cominciò a vedere la
disavventura in modo comico come sembrava averla presa lei. Lei aveva le lacrime
agli occhi e si passava il dorso della mano sotto il naso e si toglieva le lacrime dagli
occhi con l’altra mano. Lui cominciò a ridacchiare, poi a ridere sempre più forte,
contagiato dalle risate di lei. Lui fra le lacrime vide che lei aveva smesso di ridere e lo
guardava. Lui frenò le sue risate e lentamente smise di ridere. Lei si avvicinò e lo
baciò.
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Porcari, gennaio 2006
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