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LA SOLITUDINE ED ALTRE COSE DEL NOSTRO MONDO

05/04/2011

a cura di Andrea Bartalesi

Fausto mi scrive a proposito dell'osservazione fatta da me sul suo servizio da Bagni di Lucca sulla solitudine di molte persone e di come il nostro mondo podistico molte volte da' una mano. C'è da dire che molti non vogliono aiuti, si rinchiudono in loro stessi, stanno bene con il loro lacerarsi e il loro dolore. Hanno bisogno di silenzio per meglio ascoltarsi e il camminare soli sui sentieri aiuta. Altri invece si lasciano prendere dall'amicizia e dimenticano o accantonano o meglio ancora soffrono il loro momento ma con uno sfondo diverso. E' successo anche a me due mesi fa. Sono partito chiedendo una solitudine, lasciandomi poi coinvolgere da quella discreta amicizia che ti sta accanto, senza volerti aiutare per forza. Certo, quando una persona se ne va, lascia uno spazio vuoto. Lascia silenzi dove ognuno ricama i propri rimpianti. Ogni partenza provoca l'essersi dimenticato qualcosa a casa, qualche frase non detta, qualche bacio mancato. Ma questo è un patrimonio interiore che ognuno si porta dietro.

Domenica a Bagni di Lucca sono stato coinvolto emotivamente per diversi e privati motivi. Ma non ho mancato di scrivere il richiesto articolo che il Serafini, ormai grande amico, pubblicherà l'anno prossimo sul simpatico giornalino. Mi rendo conto che è poco podistico, molto sentimentale, forse perchè avevo dimenticato aperto il cassetto delle mie emozioni.

Per chi ha pazienza e vuole leggerlo eccolo:

°°°

 ALLA PIEVE DI CONTRONE DUE NARCISI SI TENEVANO PER MANO

Correre, passeggiare, andare per paesi o per boschi è qualcosa da invidiare. Se poi la mattina è come stamani, cielo pulito, celeste, le case sparse che sembravano giocattoli persi da bambini, figli di giganti buoni e i paesi con il loro colore di bianco e di pietra, i campanili come torri di avvistamento che facevano capolino sopra colli disegnati di acacie e di giovani castagni, non si può chiedere di più al nostro Creatore.
Il Giro dei Colli Termali, ormai una tradizione irrinunciabile, una Milano Sanremo dei podisti, ogni anno acquista partecipanti e lo fa con discrezione, quasi con consapevole sicurezza. Non ha bisogno di bandi o di proclami: verranno, verranno, pensano gli organizzatori. E stamani eravamo in molti, salutati come sempre dal Serafini, fra le preoccupazioni e la soddisfazione di Renza e delle sue signore. Questa marcia, lo dico per chi non l'ha mai fatta e per coloro che si sono sempre fermati ai percorsi brevi, ti porta nell'intimità dei paesi, quasi in visita alle loro tradizioni, pudicamente. E noi, sfacciati come bambini ai quali i nonni hanno concesso il permesso di rovistare in una "cantora" di una vecchia madia, con i nostri occhi da curiosi viandanti, ci immergiamo in cose passate, che non ci appartengono, se non come patrimonio di tutti i cittadini del mondo.
Il campanile della Pieve di Controne ci appare in alto come una meta, quando, oltre gli alberi, sembra essere salito su una sedia per seguire i nostri passi di avvicinamento. Il suo raggiungimento su un sentiero di pietre, importante, ci consiglia una visita senza fretta, magari il prossimo Lunedì dell'Angelo. Ma passiamo fra le case su scalini e ci avviciniamo al bosco di castagni che ci porterà alla Fonte, ai lavatoi di allora. D'improvviso, nel verde dell'erba fra rade acacie, due narcisi, imponenti, forti, vicini, guardano il sole. Il giallo risplende. Sono così vicini, viene da chiederci se uno dei due sia femmina. Sicuramente si amano, sentono la vicinanza, stanno bene insieme, tutte e due hanno la testa, il fiore, leggermente indietro così da far entrare entro di esso tutta la luce e il calore del sole.
A San Gimignano un vecchio forno regala pizza croccante e ci meraviglia per la sua bontà.
Uomini austeri ci osservano come cariatidi che sorreggono un mondo passato, mentre la rossa, quest'anno senza armatura da Saracino, ci indica la via di Vetteglia, una discesa che invoglia, vicoli che l'erba conquista, l'erta che ci riporta sulla terrazza, piccolo gioiello offerto ai coraggiosi del percorso più lungo. Volti in fila danno le spalle all'imponenza del Prato Fiorito e dei suoi pochi ma profondi anfratti, e al sole, per una foto improbabile, ma ci piace l'aria di festa, ci mescoliamo, unendoci agli Spensierati, agli amici del luogo che prima di andarsene si baciano per salutare. Ci sembra di far parte di un gruppo di cantori per innalzare un inno alla gioia. Ma non Beethoven, ci vorrebbe Verdi, meglio Puccini: Giacomo saprebbe più adeguatamente rappresentare con le sue voglie da buongustaio, da fino bevitore, da passionario, i nostri sentimenti. Le note, alcune innalzandosi verso la maestosità del monte, altre rotolando giù per le dolci valli porterebbero agli altri la nostra felicità. Non ci possiamo esimere dall'assaggiare un pavesino con miele, il dolce dell'uovo attenuato dall'amaro del castagno. Ci dispiace andar via, c'è tutto su questa terrazza, amicizia, sole, visione d'immenso, ma la strada ci chiama.
C'è da salire al monte Calvario, ma prima dobbiamo bere alla fonte di Longoio, perché non vogliamo proprio perderci niente. Il sole tenero ci inumidisce il viso, donne con la pezzuola spazzano gli stretti vicoli del paese, uomini robusti si adoprano ai lavori con moderni frullini e ci lasciano passare, come se non ci vedessero.
Due figure, la ragazza con i capelli di quel biondo bianco che devono avere gli angeli, davanti a noi, si tengono per mano. In quell'intreccio di dita c'è l'energia scatenata dal contatto e dai sentimenti. Sembra che in fondo alla "V", formata dalle braccia, si trovi l'ombelico del mondo, il centro dell'universo. Forse il gesto è inconsapevole, o peggio ancora, bugiardo. Sono convinto che per loro quel gesto si andrà a fissare nella memoria e farà parte della loro vita e dei loro ricordi che s'intrecciano formando la personalità di ognuno.
Perdere la memoria, d'improvviso, sarebbe come morire. Il primo contatto con la tua donna, la sensazione dello sfiorarsi delle dita, il primo bacio, il figlio che nasce. Quante cose se ne andrebbero, tanto che tu non saresti più tu.
Ci avviciniamo al ristoro degli Alpini e ci meravigliamo di come sotto i vecchi cappelli dalle penne dritte ci siano volti giovani: siamo abituati a vedere visi rugosi dai grandi baffi bianchi o da bazze aguzze che mostrano le guance scavate dal tempo. Allora ci sono anche i giovani alpini! Peccato che abbiano finito le mondine.
Una visita alle Terme, c'è da bere la calda acqua ma ormai il nostro pensiero va verso l'arrivo, verso il ristoro finale, verso gli amici che ci aspettano.
Sulla strada del ritorno mii viene una domanda: ma i narcisi si tenevano per mano?
Andrea Bartalesi