Ed eccoci alla QUINTA PUNTATA
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STORIE ED ALTRE STORIE
A proposito della Firenze-Mare, classica del dilettantismo toscano e nazionale
tanto da essere considerata la Milano Sanremo dei dilettanti,
che Ugo vinse nel 1950, ecco cosa scriveva La Nazione del 17 agosto
1950. Un resoconto particolareggiato, per informare gli appassionati,
non c’era la televisione a farti vedere, ci pensava il cronista con le sue
parole a farti immaginare.
“LA CLASSICA FIRENZE-VIAREGGIO VINTA DAL LUCCHESE UGO
DEL CARLO.
SFORTUNATO L’EX TRICOLORE CIOLLI FUGGITO IN PARTENZA CON
CIAPINI E GIRARDI. LA GARA AVVERSATA DAL TEMPORALE SULLA
MONTAGNA PISTOIESE - RIUSCITO COLPO FINALE DI UN TOSCANO
E DI UN LOMBARDO.
(dal nostro inviato speciale)
VIAREGGIO, 16 - La quinta edizione della Firenze- Viareggio del dopoguerra
si è differenziata dalle precedenti per l’arrivo a gruppetti dei
corridori, distanziati l’uno dall’altro da un buon margine di tempo.
Era divenuta tradizione vedersi decidere questa classica del dilettantismo
in una grande volata, con immancabili capitomboli. Questa volta,
le volate, hanno visto di scena un numero limitato di partecipanti.
Primi a presentarsi sul lungo rettilineo del Viale Marco Polo sono stati
Del Carlo di Lucca e Olmi di Brescia, involatisi da un gruppo di venti
unità a cinquanta chilometri dall’arrivo. I due, bisticciatisi a parole
sullo stradone che da Lucca conduce al Monte Quiesa, hanno rifatto le
picche a 600 metri dal traguardo, dove hanno quasi giocato di equilibrarsi
per mantenersi in sella, in quanto nessuno voleva assumersi
il compito di fare il battistrada. Infine, Del Carlo, si è deciso a partire
e di forza ha vinto.
Dopo 2’15” si sono presentati in piena velocità sei corridori i cui nomi,
sovente annotiamo fra i vincitori delle più appassionanti competizioni.
È stata una volata bruciante. Gli ultimi 500 metri sono stati
compiuti in 33” alla media di oltre 52 all’ora. Erano di punta Santoni
e Sartini. Ai 200 metri è sfrecciato nel mezzo al gruppo il bianco- azzurro
Bartolozzi che ha subito preso il comando giungendo primo di
questo gruppo e terzo in classifica al traguardo, con ai fianchi i biancorossi
Benedetti Rino e Pellegrini, corridori che davano l’impressione
di fare come scudo di protezione al capitano della “Soffiano”. Nencini
e Santoni hanno occupato le immediate piazze e il senese Sartini, in
altre prove asso della montagna, si è accontentato di godersi lo spettacolo
offerto dai maestri della velocità. Questa la fase conclusiva
di una corsa che ha avuto molti episodi di rilievo dei nostri migliori
elementi del dilettantismo, ed a fornire una graduatoria dei più attrezzati
alla distanza.
Il raduno si è avuto la mattina alle 6,30 in Piazza Torquato Tasso,
dove Curti, Mazzola e gli altri fedeli dell’”Aurora” hanno provveduto
a disbrigare le ultime formalità alla presenza di Delli, Meini e Corsini,
rappresentanti gli enti unionistici. Alle 7 esatte Giuseppe Rosseau dà
il via ufficiale ai 60 partecipanti. Dai ponti della Vittoria e alle Mosse,
fra due ali di tifosi, si esce da Firenze e subito tre audaci - Ciolli,
Ciapini e Giraldi, tentano il colpo avvantaggiandosi. Il grosso dei concorrenti,
a torto, non si preoccupa gran che della puntata offensiva.
Eppure i fuggitivi sono elementi che meritano considerazione.
A Poggio a Caiano il vantaggio dei tre è già di oltre un chilometro e
mezzo. Anche più consistente è a Pistoia dove i fuggitivi transitano
alle 7,52. La salita di Serravalle non porta varianti e a Montecatini
alle 08,12 Ciolli, Giraldi e Ciapini hanno 4’45” su Degli Innocenti e
5’35” sul gruppo capitanato da Sartini, Buscioni, Benedetti e Bartolozzi.
Alle 8,30 appena un’ora e mezzo dalla partenza, i tre di punta
hanno già alle loro spalle Pescia che si è tutta riversata sulle strade
per acclamarli. Ci inoltriamo fra le gole della montagna pistoiese ed
all’inizio della snervante salita di Vellano, l’ex tricolore Ciolli, il più
fiero sostenitore della fuga, ha uno scatto di disappunto quando gli
si spezza un freno e tre o quattro minuti dopo anche l’altro. Al valdarnese,
con rammarico, non resta che aspettare il passaggio della
carovana e degli inseguitori e prendere posto, infine, sul camion degli
infortunati.
A Vellano i villeggianti hanno istituito due ricchi premi di traguardo
che Ciapini e Giraldi nell’ordine si aggiudicano. La strada sale sempre,
rilucente e pulita per effetto di recenti piogge. Giraldi tenta mantenersi
al comando per imporre l’andatura confacente alle sue possibilità,
ma Ciapini con quell’audacia che è una caratteristica dei giovani fiduciosi
delle proprie forze, scatta deciso e va da solo verso il culmine
della montagna. In località Dogana Vecchia, nei pressi del bivio di
Marliana, facciamo il punto della situazione. Ciapini transita alle 9,15
Giraldi segue a 1’35”. Benedetti a 3’50”, Bartalini a 4’30”, Del Carlo
a 5’15”. un gruppo di 16 guidato da Sartini, a sei minuti. Prima di
Prunetta, da questo plotone si stacca Bartolozzi costretto a sostituire
la gomma posteriore. Sull’altipiano Del Carlo e Bartalini sono ripresi
mentre nella discesa delle Piastre, Giraldi riagguanta Ciapini costretto
a fermarsi per cambiare una gomma. Un violento temporale viene ad
ostacolare la marcia nella zona di Pontepetri, ma la folla sfida l’acqua
per incoraggiare i suoi beniamini. Dietro, la caccia è bene organizzata
tanto che al culmine del Monte Oppio, dopo che Ciapini si è aggiudicato
il premio della montagna, avviene il ricongiungimento. Bartolozzi
segue solo a 1’45” ma da abile discesista dimezzerà la distanza sulla
discesa di San Marcello e Mammiano fino alla Lima. Bartolozzi insegue
tenacemente sull’erta di Popiglio, sorpassa alcuni che rallentano
per difetto di energie e fatica assai, però ad annullare gli ultimi 150
metri. Ne avrà la spiegazione appena rientrato in gruppo quando è
informato che proprio allora sono fuggiti e scomparsi dietro la prima
curva, Del Carlo e Olmi.
Del Carlo e Olmi lavorano bene sullo stradale di Bagni di Lucca, poi
Del Carlo conduce come se disputasse un inseguimento, indubbiamente
per effetto delle accorate dimostrazioni d’entusiasmo dei tifosi della
sua città. All’uscita da Lucca, Del Carlo, temendo di essersi prodigato
troppo, invita il bresciano Olmi a coadiuvarlo, ma questi, che fra
l’altro non conosce il percorso, non aderisce all’invito ed avviene così
quel vivace battibecco che per poco non sfocia in un litigio vero e
proprio.
La polizia stradale fa anche qui prodigi per disciplinare il transito e
la carovana la cui coda si è moltiplicata con auto non ufficiali, automezzi
che seguono, però disciplinatamente. Anche il Quiesa è scavalcato.
Gli inseguitori sono in piena azione da una diecina di minuti e
accorciano notevolmente la distanza, ancora altrettanto tempo e poi
i fuggitivi si vedrebbero annullare i vantaggi di una dura fatica. Ma
nel gruppetto vi sono troppi capitani e resta impossibile mantenere a
lungo un tono tattico di uguale rendimento colla distanza torna ad
allungarsi e la corsa si concluderà con il meritato successo del lucchese
Del Carlo, atleta di grande notorietà nella sua zona per i numerosi
successi ottenuti, ma trascurato nella zona fiorentina dove mai aveva
vinto una corsa organizzata da questa società.
MARIO LIVERANI
ORDINE DI ARRIVO
1° DEL CARLO UGO (GS.ALDA LUCCA) KM 190 IN ORE 5:27’ alla media
di km 34,550
2° OLMI CESARE (Chiari di Brescia idem)
3° BARTOLOZZI VLADIMIRO (Soffiano) a 2’45”
4° BENEDETTI ELSO (Assi)
5° PELLEGRINI (Alfa Cure)
6° NENCINI GASTONE (Oltrarno)
7° SANTONI (Chiesina Uzz.se)
8° SARTINI (Bettolle)
9° MARTELLI (Luconi) a 3’20”
10° CIANFARONI (Ponte a Ema) 4’38”
11° PINI (Assi)
12° BUSCIONI (Luconi)
13° BIONDI ALVARO (Porta Romana)
14° STURLINI (Chiesina Uzz.se) a 6’00”
15° BERNARDINI (Assi) a 6’15”
16° CIAPINI (Luconi)
17° GIRARDI (Oltrarno)
18° GIULIANESI (Montecatini) a 7’20”
19° DIONIGI (Chianciano)
20° PASQUALETTI (Luconi)
(cit. La Nazione 17.08.1950)
Da notare che la Firenze-Viareggio era gara per Under 23 e come alla
corsa partecipassero sia Bartolozzi noto poi per essere stato il direttore
sportivo di Saronni e il grande campione Gastone Nencini, che passato
professionista, vinse un Giro d’Italia e un Tour de France.
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CON ANGELO SI PARLA DI STORIA DI PORCARI
Ho incontrato Angelo Toschi, grande personaggio porcarese: sta facendo
vita ritirata, ma non può mancare alle grandi Opere Liriche, in Italia
e all’estero.
Vive in un’isola di silenzi alternati alle note preziose della musica sia
classica sia operistica. Legge in continuazione. E ricorda.
Ha vissuto intensamente e la memoria degli avvenimenti per lui è naturale.
Preciso e con quel garbo che ti porterebbe a vivere del passato.
Gli ho chiesto dello Sgughi.
- Io ho abitato a Laetti, con precisione in corte Viario, ma meglio
ancora “a Viario”. Sono nato in Via Roma, in centro, ma mia nonna
abitava nella casa di corte in Via Diaccio. Durante la guerra vivevo
molto a Viario e giocavamo insieme con lo Sgughi, anche se lui aveva
cinque anni più di me. Bastava attraversare la strada. -
Andando nella Via Diaccio verso sud, quando la strada fa una leggera
curva e sulla destra c’è il passo pedonale per la corte Laetti, a sinistra,
accanto alla casa dove abitava Emma, una stradetta sale a Viario, dove
io ricordo abitava Italo il sensale e sua figlia Virginia.
Emma, una donna piccola, ma chiamata senza diminutivo per non confonderla
con Emmina del Moroni, era moglie di Gigi detto il fattore. La
ricordo sotto la pergola che dava sulla strada. Lavorava in maglie, le
“dava a fare” come si diceva. Di lei ricordo una storica frase (per me),
una mattina che raccontava di essere andata, la sera prima, a vedere
un film al Cinema Nuovo.
“Geee com’era bello!!!! Ho piangiuto tutta la sera”.
Angelo intanto mi racconta:
- Mio padre aveva un’autofficina in Via Roma, davanti a Luigi Genovesi
detto Pipetta. No, l’altro Pipetta, quello emigrato in Brasile, non
ha mai avuto bottega vicino a Luigi, lui rimase sempre alla Guerrina,
proprio accanto al Bigio. Nadir non iniziò a fare il fotografo quando
emigrò Agostino, anche se questo lo aiutò, aveva già iniziato a casa
propria, nella cascina dove poi ebbe il negozio. Ricordo che agli inizi
gli si ruppe la macchina fotografica e io gli prestai la mia. Me l’aveva
regalata il cappellano di allora. -
«Don Egidio?» chiedo subito.
- No, era diverso tempo prima. Il cappellano era Don Michetti, poi
vennero Don Pasquinelli e Don Egidio. Il proposto era sempre Don
Nanni. Pasquinelli rimase poco, andò a Roma e diventò segretario di
un Cardinale lucchese, lo seguì in Svizzera, Spagna e Canada dove
il prelato fu Nunzio Apostolico. La sua carriera diplomatica s’interruppe
al momento della morte del Cardinale, suo protettore. Allora si
trasferì ancora in Spagna, dove morì.
Noi abitavamo in Via Roma, dove io sono nato. Era nella prima casa
delle tre che si trovavano in cima agli scalini: noi nella prima, Giancarlo
di Mina, il Rovai, nella seconda e nella terza Luigi Genovesi...
Pipetta. Ho abitato anche in casa di Licia in Vicolo Toschi: infatti, in
tempo di guerra la casa che ti ho detto fu bombardata e ne crollò una
parte. Avemmo fortuna, noi eravamo in casa di Giancarlo di Mina,
dove c’era un grosso tavolo e mio padre quando c’era rischio di bombardamenti,
se poteva, voleva andare sotto quel tavolo perché diceva
che “ci si sentiva sicuro”. E questo suo pensiero ci salvò la vita.
Poi i miei genitori sistemarono l’appartamento sopra l’officina in Via
Roma e ci trasferimmo definitivamente. -
Lo ricordo bene, “Giovannin del Mimmi”, accomodava le auto, tanto
tempo dopo, Stoppino riparava le gomme. Accanto c’era Adamo Toschi,
il fratello di tuo padre, che faceva servizio per i matrimoni e come tassì,
aveva macchine importanti, grandi, mi sembra la 1400 Fiat.
Ricordi? A quel tempo faceva servizio anche Fellin di Barile e mentre
in chiesa si celebrava un matrimonio, la sua macchina, una 1400 nera,
anche quella, fermata male, si mosse e precipitò nel campo di sotto,
dopo aver rotto il muretto, nel campo dove Elia ci murò diversi anni
dopo la Tipografia.
- Mio padre agli inizi costruiva biciclette da corsa e le vendeva con l’etichetta
Poggiocaro. Montava il cambio Campagnolo, e un manubrio
di forma particolare. Allora la squadra di calcio era la Poggiocaro e
anche la squadra ciclistica si chiamò così. Io ero il segretario della
squadra di calcio. Allora ci giocava Lido di Mimma, Alfiero che noi
chiamavamo Faliero, il Pardini, Giuseppino del bar e molti altri. Credo
che la bicicletta da corsa dello Sgughi molto probabilmente l’avesse
costruita mio padre o meglio i suoi lavoranti. Uno era Bucefalo e l’altro
Angelino, il Cerri, un ragazzo di Capannori che poi sposò a Porcari
e si murò una villetta in Via di Capannori e faceva il meccanico delle
macchine da maglieria. -
Sì, Angelo il Cerri, il meccanico delle macchine di maglieria. Bucefalo,
il grande Francesco Ramacciotti, dopo, quando Giovannino ebbe le
auto come maggior lavoro, aprì una stanzetta da biciclettaio al Poggi,
accanto all’edicola con la bella immagine della Madonna del Pianto di
Michele Marcucci, pittore che aveva affrescato la nostra chiesa. Bucefalo
si chiamava così perché, come lui mi spiegò, aveva un vecchio vicino
di casa che lo vedeva correre con un piccolo carrettino, da ragazzo, e
un giorno gli disse: Corri veloce come Bucefalo, il cavallo di Alessandro
Magno. Da quel giorno gli si è appiccicato addosso il nomignolo tanto
che chi lo vuole identificare subito, senza tante parole, lo chiama così.
Raccontava della sua esperienza da Giovannino del Mimmi e come lui
avesse una frase che faceva riferimento alla qualità: “Auto Fiat, bicicletta
Bianchi, cappello Borsalino”. Un altro biciclettaio era in Via Pacini,
“Nene” ovvero Eugenio Pacini, zio del Della Nina Giuseppe, uno dei
fratelli Pacini di Porcari. Lui raccontava che al passaggio a livello del
Frizzone si era accodato con la sua macchina a un camion in attesa,
aspettando l’apertura. Dopo mezz’ora scese e andò a vedere: il camion
era fermo, il passaggio a livello aperto. Lo raccontava come fosse un
tributo alla curiosità della vita. Anche lui viveva a Pacconi.
- Ricordo benissimo come scommettessero sullo Sgughi e quella sua
vita da campione.
Ero sul ponte dell’autostrada quando fece la sfida con il Fanini. C’era-
vamo tutti. Uno che lo seguiva sempre era Lisein de’ Ricci, anche Luigino,
suo fratello. Ma Lisein ne aveva quasi un culto. Mi resta difficile
pensare a Ugo con un coltello nella tempia e che lui potesse uccidersi.
Era così pieno di vita, anche nella sventura. In definitiva penso che
non fosse un delinquente, ma un bonaccione preso da un ingranaggio
malavitoso che non lo ha più lasciato. Sai, io, già uomo fatto, al
tempo che vivevo a Viareggio, Bar Manetti, mi trovai a Porcari al Bar
Sport. Ricordi il Bar Sport, dove ora c’è l’Erboristeria? -
Certo, quello di Dino di Tacco, dietro c’era la tipografia di Elia Matteoni
dove lavorava Alfiero. Accanto ci viveva la guardia, il Manfredini...
- Sì, quello, ma non c’era più Dino ma Attilio del Bozzo, che lo aveva
rilevato. Poi mi sembra fu costretto per malattia a cederlo al Gialdini.
Ma torniamo a me che entrai nel Bar Sport. C’era lo Sgughi che faceva
il gioco delle campanelle. Mi avvicino e lui mette la pallina e muove le
campanelle. Mi sembrava così evidente che la pallina fosse dove avevo
visto che lui l’aveva messa, così sicuro, che scommisi mille lire. Non
c’era. Avevo perduto. Lui inserì la pallina di nuovo, io la vidi che era
sotto il primo campanello. Giocai mille lire e le persi. Andai avanti per
un po’ e persi sempre e sempre ero sicurissimo. Finii col perdere un bel
po’ di soldi, tanto che decisi di smettere, quasi come beffato. Ugo, mi
rese tutti i soldi e mi disse: “Volevi battermi eh...ma non è possibile,
io sono il numero uno”.
Fosse stato un bandito avrebbe intascato, mi avrebbe pagato magari
da bere e tutto sarebbe finito lì. No, credo proprio che fosse un povero
diavolo. Certamente si era comportato con me così ricordando l’amicizia
di quando eravamo ragazzini, ad altri avrebbe intascato i soldi
certamente, chissà quante volte ha approfittato della dabbenaggine
dei giocatori.
Sai gli anni del dopoguerra furono un momento particolare, il fermento,
la voglia di ricominciare a vivere, l’OPA nelle scuole distribuiva
dei biscotti grandi fatti a rombo, li ricordi? gli americani, con le loro
gomme da masticare, la crema bianca e nocciola e le sigarette. ci avevano
fatto vedere una possibilità di mondo nuovo. Non che servissero
dei biscotti per la speranza, ma questi giovanottoni che ridevano con
mille denti in bocca, sembravano la réclame dell’ottimismo. Niente ci
sembrava impossibile. In molti correvano in bicicletta, ognuno aveva
davanti a sé un sogno possibile da realizzare. La politica che viveva
come tutto il resto in un duello, le folle che si riunivano, la Festa dei
Ranocchi, il Conte Pipetta, la Contessa Giovannona. La trasformazione
improvvisa del nostro paese da realtà contadina, i barrocci, le
vacche, le biciclette con i “mancioni”, a paese con iniziative artigianali
e addirittura industriali. Il Da Massa diventò sindaco e Porcari
fu paese depresso. Noi, di allora, quasi ci facemmo prendere la mano,
non avevamo il tempo di pensare a quel passato così tenero di ricordi,
c’era da guardare a dove andare, magari senza vedere dove stavamo
mettendo il piede. -
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ALLA PROSSIMA, FRA UNA SETTIMANA
per chiedermi o comunicarmi qualcosa, su Messanger ...Andreea Bartalesi