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LO SGUGHI - SECONDA PUNTATA

13/07/2020

a cura di Andrea Bartalesi

eccoci alla seconda puntata:

LO SGUGHI, CHI ERA COSTUI?
Clara lo sapeva bene che era morto a Pisa. Lei usciva dal lavoro e a
qualsiasi ora, la sera, andava all’ospedale a trovare questo cugino sciagurato
che si lasciava morire. Un coltello nella tempia che i medici non
sapevano come trattare. Una morte che aveva del misterioso, per questo
modo così poco adatto di togliersi la vita. Lei riviveva i momenti
che da piccolina aveva vissuto con i cugini molto più grandi, lei che
era diventata la loro mascotte, che loro chiamavano con un nomignolo,
Chicca. Era fra i pochi visitatori di Ugo nel letto di morte. Era diventato
un personaggio scomodo, lo Sgughi, da campione, osannato e famoso,
si era trasformato in un giocatore, uno che viveva di espedienti, era
stato perfino in carcere. Lei aveva un dolore enorme dentro perché Ugo
era un povero diavolo, con tutti i suoi errori. Come Felice, suo fratello,
Suino come lei lo aveva sempre chiamato, per la sporcizia che nascondeva
con quell’aria da “conte”, con quel vestito grigio, quella camicia
bianca che bianca non era più.
Felice lo vedeva, passando, su una panchina, con la gamba accavallata,
e per farlo aveva bisogno di aiutarsi con le mani, curvo con il volto
chiuso, su una testa che continuava a dire no. A chi diceva no? Alla
realtà, forse, a quella realtà che non voleva accettare, a quella decisione
presa da Ugo, suo fratello, con il quale discuteva, contrasti che a volte
finivano con calci e spintoni, ai quali assisteva Tolò, con i suoi occhi
tristi, la sua bontà e i suoi “smettetela” che nessuno ascoltava. Era una
straziante visione, quella di Felice, di un personaggio da sempre testardo,
cocciuto e presuntuoso.

 

 

 

E Clara aveva lottato, dopo la morte di Ugo, per farlo benedire in chiesa,
lui che in chiesa non andava mai. E Don Francesco non voleva, gli sembrava
un oltraggio a quel Dio che lui non sapeva quanto poteva essere
misericordioso. Erano i tempi post Concilio e il Proposto era impegnato
a togliere i Santi di chiesa, a nasconderli, dietro teli di colore beige, nelle
loro nicchie. I Santi che mormoravano i loro dissensi ma Don Francesco
era ligio agli ordini, meno Santi, più Gesù, più Maria Santissima.
Aveva come cappellano Don Carlo Serafini, buono oltre ogni dire, ma le
regole andavano rispettate. E Clara insisteva, si appellava alla parabola
del figliol prodigo, quella parabola così poco amata da chi frequenta
assiduamente “avere lo stesso premio della vita eterna insieme con uno
che non è mai andato in chiesa, che non ha mai preso una messa...impossibile”.
E se in punto di morte Ugo si fosse pentito?
Clara convinse tutti. Lei, con il suo dolore e i suoi ricordi.

 

 

 

DEL CARLO UGO DETTO LO SGUGHI
Erano gli anni del dopoguerra. Del Carlo Ugo - si legge nel Museo del
Ciclismo - vinse la Firenze Mare per dilettanti nel 1950. Era la 5° edizione.
Nel 2016 si corre la 70° edizione. Una classica.
«Alfiero cosa puoi dirmi dello Sgughi?»
- Ti racconto questa: un giorno io, Giuseppino del bar, Luciano il Pardini,
giocavamo a pallone nel campo dove ora c’è via Pacini, arrivò
qualcuno e disse... A Segromigno oggi corre lo Sgughi.
Dai... andiamo? Si va? Si va.
E così prendemmo attraverso i campi portandoci dietro il prezioso pallone
duro e bistondo ma unico. Arrivammo a Segromigno e trovammo
una folla vociante... stavano scommettendo sul Fanini e sullo Sgughi
su chi sarebbe arrivato prima. Era normale, come ogni volta, ma quel
giorno c’era elettricità nell’aria, qualcuno doveva aver usato parole
sbagliate. Uno scese in una vigna e prese una calocchia, un altro lo
imitò e cominciarono le calocchiate, a darsele di santa ragione.
Noi ci guardammo in faccia, girammo e tornammo a giocare a pallone
a Porcari, sempre attraverso i campi. -
«Dorino che tipo di corridore era lo Sgughi?»
- Era come Nencini, uno di fondo, veniva fuori alla distanza, non
aveva lo spunto o la volata, anche se vinceva in volata, ne ricordo

a braccia alzate a Fontananuova. Lui vinceva quando la corsa
era dura. -
La gente impazziva per lo Sgughi. Metà. L’altra metà impazziva per il
Fanini, Ivano Fanini, il pioniere dei Fanini. Sembra che nello sport e
nella vita non ci possa essere gloria se non in contrasto. Bartali non
sarebbe stato ricordato così grande se non fosse esistito Coppi. E viceversa.
A volte penso che Gimondi abbia avuto la sfortuna di correre
insieme a Merckx o forse è stata la sua fortuna? Senza Eddie avrebbe
vinto molto di più, ma la gente lo avrebbe dimenticato forse prima?
Ugo, il nostro Sgughi, era personaggio che alimentava le polemiche,
sbruffone, sapeva difendersi con maniere spicce, un colpo di pompa a
chi lo osteggiava in corsa e via. Qualcuno racconta come nelle salite
dure, sterrate, dopo aver staccato tutti, si fermasse in cima e tirasse
fuori una trombetta da lattaio e la suonasse per irridere gli altri, suoi
avversari.
La trombetta del lattaio, ricurva, di metallo...allora passavano i raccoglitori
del latte, curvi, quasi gobbi sul manubrio, con due bombole
fissate ai lati del sellino della bici e suonavano per richiamare le mogli
dei contadini per farsi consegnare il latte. Passavano presto la mattina,
ma gli uomini erano già nel campo.