MA DOVE ANDATE?
Stamani a Spianate, appena partiti, uscendo dal paese, una piccola strada secondaria, a un cancello si avvicinava una donna, sotto il cappotto, i pantaloni del pigiama di ciniglia, le caviglie nude dentro le due ciabatte. Guardava a destra e sinistra e diceva: Ma dove andate? Ma dove andate? Continuava a ripetere: Ma dove andate?
Eravamo in molti, imbacuccati, anche se il tempo era cambiato, la temperatura salita, un umidore nell’aria. Qualcuno rideva chiacchierando con chi correva insieme a lui, chi continuava un discorso che gli avrebbe fatto compagnia, chi, come me, cercava di scaldare le stanche membra e renderle almeno possibili ad una corsa che permettesse i venti km previsti.
Ma dove andate?
Era una domanda, quella, che richiedeva una risposta, si mescolava al rumore di un popolo che, diversamente, era in cammino e nessuno rispondeva proprio per l’assurdità o l’ovvietà della domanda per ognuno di noi. Sembrava quasi che la donna temesse uno spostamento di massa, o auspicasse un miracolo, una statua di un santo che lacrimasse. Allora?
Io ho sempre pensato che il podista ha in sé la sete e l’abitudine del popolo nomade, l’irrequietezza, l’occhio che si alza sempre verso l’orizzonte. Io ho sempre amato le corse che partendo da un posto portavano a un altro, ho creduto che fra i miei antenati ci fosse qualche pellegrino dai magri stinchi ossuti, che andava in cerca di una salvazione spirituale, o forse solo la fine dell’irrequietezza interiore.
Qualcuno avrebbe potuto dire...andiamo a San Salvatore o a Montecarlo, perché noi andavamo a Montecarlo, ma la donna non domandava questo. Io mi sono chiesto lo scopo di questo nostro andare. E come per incanto ho ricordato una storia di una bimba dagli occhi grandi e neri, due treccine, su una strada accanto a una corte, anni fa, che guardava noi passare e, timida o solo ancora troppa bimba, non parlava ma i suoi occhi lo facevano per lei. Lei non lo sapeva ancora ma cercava la serenità, i suoi occhi curiosi sembravano distratti, ma la ricerca era già seminata nel suo animo. Anche lei ci domandava “Ma dove andate?” e poi lo raccontava al Cicco bello che teneva in collo. Una bimba con la sua biciclettina rosa, con il suo futuro, con la sua casa che sarà risucchiata qualche anno dopo dall’intreccio della vegetazione, i mattoni dell’aia divelti, lo stallino dove un roseo maiale grufolava, distrutto. La sete dei soldi di qualcuno le avrebbe tolto la realtà, e le avrebbe donato la dolcezza dei ricordi. Storia della Sibolla, dell’eternit, dell’amianto, di famiglie alle quali i conoscenti chiedevano “Ma ora dove andrete?” e nella diversità del verbo un abisso di significato. Storia vecchia, che molti hanno dimenticata, non la bimba che ci guardava e i suoi occhi ci chiedevano “Ma dove andate”.
Ecco io vorrei tentare di dare una risposta a questo nostro incessante andare: cerchiamo un talismano, una pietra lucente, cerchiamo la quiete dell’anima, il sostegno di Dio, cerchiamo una strada. Ogni vita è una ricerca, e non importa avere o non avere, noi cercheremo sempre fino a che vivremo. Il podista con la sua fatica, con il suo dolore, con la gioia di un arrivo, o con la delusione di un insuccesso, troverà in fondo ad una strada, a qualsiasi strada, se stesso.
Ecco avremmo potuto rispondere: “Andiamo a cercare noi stessi”, sia alla donna dai piedi nudi nelle ciabatte e alla bimba dagli occhioni curiosi, e forse solo quest’ultima avrebbe creduto in noi e lo avrebbe raccontato a Ciccio bello e abbracciandolo, gli avrebbe raccontato di aver visto passare dei pazzi.
E allora... tanti auguri a tutti i pazzi del mondo!
Andrea Bartalesi