PAESAGGI VERTICALI ALLE CINQUE TERRE
Domenica 22 marzo: una visita agli amici del Comitato Marce de La Spezia e Lunigiana in occasione della "appetitosa" 6° Marcia "Nel Parco Nazionale delle 5 Terre" a Riomaggiore. Mi fa compagnia gente tosca, di quella che sa soffrire "cum gaudio", ma stamani in versione soft, destinata com'è alla contemplazione motoria.
Prendiamo la strada per le 5 Terre ed al bivio per Riomaggiore ci cerchiamo uno spazio nelle piazzole lungo la strada, perché oltre si va solo con la navetta. Questa, bella grande, verde, ci attende, ma purtroppo noi dobbiamo aspettare, a nostra volta, l'autista che non c'è. Guardiamo sotto di noi Riomaggiore, decidiamo, per cercare di sopravvivere dal freddo e dal vento, di andare giù per gli scalini, spronati da Carlo, nostra guida che ci accompagna nelle escursioni montane.
Sembra, nella ripida pendenza, che se uno cade vada direttamente in piazza e se spicca anche un salto possa arrivare anche in mare. Eccoci all'iscrizione nella palestra della scuola, dopo esserci spogliati e rivestiti di tutto punto nel tipico castello dove lasciamo le borse. E così bardati ci avventuriamo in questa affascinante avventura. Lasciamo Riomaggiore e ci inoltriamo nella famosa Via dell'Amore.
Il mare, lo spazio, lo strapiombo, il cielo sereno, il vento freddo, le scritte sui muri, le gallerie, i fiori. Bello. Non ha bisogno di una definizione così ambiziosa per essere bella, questa strada. Anzi se ha un difetto, secondo me, è proprio che non ti senti in uno di quei posti dove se non hai un amore te lo faresti prestare. E' bellissimo specialmente a quest'ora del mattino, senza giapponesi o grassi turisti con piccole macchine fotografiche, con tanta luce che ti acceca, uomini annoiati sulle panchine di pietra a prendersi il vento in faccia (Carlo assicura che questo è il vento tipico di quando nasce il sole, ma che forse dopo scomparirà). Arriviamo alla stazione di Manarola, scendiamo la nuova scala in ferro.
Attraversiamo Manarola, fra profumi di ragù di coniglio (ma non siamo in borghi marinari?) ci allontaniamo verso Corniglia, ma quasi come se ci fossimo pentiti, saliamo, scalino dopo scalino e torniamo indietro, guardando Manarola dall'alto, al limitare del paese. Bellissime inquadrature per chi ha dietro la macchina fotografica. Pochi fiori in piccole aiuole di piccoli orti e giardini, non ci solo le solite violacciocche, o le insalate. Quest'anno, a differenza delle altre volte, ci sono erbacce. Continuiamo a salire, scalino dopo scalino.
Al passo perbacco, la strada è lunga davanti a noi! Passiamo accanto al campanile senza chiesa. Usciamo dal paese, e girandoci, lo vediamo sempre più in basso. Siamo fuori dall'abitato, la monorotaia dentata dei trenini delle 5 Terre ogni tanto ci attraversa la strada. Continuiamo a salire, scalino dopo scalino. Uno aveva cominciato a contarli, gli scalini, ma per tre volte ha perso il conto. Il borgo di Groppo sopra di noi, lo passiamo, troviamo la Litoranea e da qui Volastra, quella che viene chiamata la sesta delle 5 Terre. Siamo a 300 metri sul livello del mare.
Ci accoglie il solito ristoro e ci lasciamo tentare dalle tanto rinomate e mai dimenticate acciughe. Rivolgo una domanda alla signora gentilissima che mi sopporta. "Ho sempre dubitato che queste acciughe le faccia un uomo perché una donna difficilmente riesce a raggiungere certe perfezioni". Lei mi guarda diritto negli occhi e mi dice "Per prima cosa le acciughe le fa il mare, secondo se dovesse prepararle un uomo avrebbe voglia di aspettare...".
Deluso mi butto su un bicchiere di tè e mi scotto le dita per il suo calore: guardo l'uomo che lo sta versando e rifletto sulle parole della donna. Penso sia meglio andarmene. Ristoro e deviazione: la 8 torna velocemente verso Riomaggiore, la 18 attraversa la strada e sale verso il monte, noi continuiamo per la 25 km scendendo brevemente in Volastra e riprendendo quota su stradine fra le vigne, piccoli sentieri a strapiombo. A sinistra il mare, lo spazio. Penso che a me questo senso d'infinito, mi da un'intima sofferenza. Questo spazio, questo vuoto, così pieno d'acqua, mi sgomenta. Dopo tanti anni devo convenire di essere un uomo di terra, che non avrei mai potuto fare il marinaio.
Ci lasciamo prendere dalla bellezza di queste viti spoglie e legate ad un intreccio di fil di ferro. Tratto di grande effetto panoramico, terra rubata allo spazio, ci fa pensare al perché i liguri siano ritenuti tirchi. Se pensiamo a quanti sacrifici costa loro tenere queste piccole cose possiamo capire anche che possono essere parsimoniosi.
Dopo una casa che aggiriamo in tutti i sensi, ci troviamo in un piccolo sentiero quasi pianeggiante che segue l'andamento orografico del monte, non c'è pericolo, puoi allungare la gamba, sentire la gioia della corsa, finalmente. Alcune case sotto di noi, attaccate al monte: poco alla volta entriamo in un bosco, muretti a secco, come fatti ieri, tengono il terreno sopra e sotto di noi. Corniglia ci appare laggiù, fra i rami senza foglie degli alberi. Scendiamo i muretti con dei gradini stretti ricavati da pietre che escono dal muro. Corniglia è sempre più vicina, sempre più bella, ci manca sempre di più la macchina fotografica, ma qualcuno sfodera un telefonino spuntato chissà da dove. Il progresso ci condiziona: ma decido di guardare bene, di cercare il ricordo, di portare immagini nella mia testa e le potrò raccontare oltre a farle vedere. Torniamo a salire, ripidamente, a tornanti stretti, fra foglie secche, rami rotti, sassi che formano scalini. Il vento non arriva, i battiti salgono, il calore corporeo aumenta.
Arriviamo sulla strada, scendiamo velocemente verso il ristoro di Volastra, non domando niente delle acciughe ma ne mangio ancora un paio tanto per gradire, ci compattiamo e cominciamo la leggera salita che ci porta sul percorso comune anche alla 18. Ma la salita è breve e ci troviamo su di una bella strada, larga, (con pini e piante che fanno la giusta ombra e fermano il poco vento) sterrata, ma con pochi sassi, dove correre è bello e la gamba allunga, i respiri si affrettano, alle curve un'occhiata al mare che è sempre laggiù. Complimenti: hanno confermato questo percorso bellissimo, questa strada che cammina a 300 metri sul livello del mare e sicuramente stiamo puntando verso il Santuario della Madonna di Montenero che vediamo in fondo al promontorio, un po' più in basso di noi. Sopra, il Colle del Telegrafo ci osserva non perdendoci di vista. Questa strada per correre è bella e non finisce mai, (non la ricordavo così lunga, quasi 9 km) rientrando continuamente seguendo la sagoma delle valli che si aprono sopra di noi. Ad una curva ecco il sentiero stretto che ci porta al Santuario, scalini, pietre, un ampio prato con in mezzo il Santuario e intorno erba verde, staccionata in legno e di sotto il mare, su tre lati. Laggiù, nel controluce, Portovenere, la Palmaria, il Tino. Dall'altro lato, in fondo, la Punta Mesco, Monterosso. E nel mezzo tutte le altre Terre.
La Chiesa è chiusa, dalle due finestrine indoviniamo un telo davanti al quadro dell'altare con la M che ci sembra familiare, forse è la stessa del Santuario di Montenero. Al ristoro un uomo non ci parla di acciughe ma noi, volpi grigie, le scoviamo in una terrina in bagno d'olio con una leggera marinata di prezzemolo, ma senza aglio. Trovo il tempo di immortalare la mia faccia con un gruppo sconosciuto e simpaticissimo. Lascio la compagnia e comincio a scendere gradini dopo gradini, lunghi, corti, bassi, alti, ma scalini. Sagomati con pietre che tengono il fronte dello scalino. Non ci sono pietre indecise. E per questo scendo bene, sicuro. Ecco Riomaggiore, attraverso la strada asfaltata, entro in paese, in un largo spazio. Saprò poi che sotto di me scorre il Rivus Maior che da il nome al paese. Assaporo la gioia dell'arrivo tanto che un po' mi dispiace essere arrivato. La stessa cosa deve essere accaduta a chi ha disegnato il percorso, infatti, arrivati a metà paese invece di girare a destra per l'arrivo, una freccia ci invita a sinistra. Scalini ci fanno salire, altri gradini, altre case, alberi di limone, stretti passaggi fra case. Su un muretto quattro ragazze, belle come lucertole al sole, suggono da grandi calici il Bianco delle Cinque Terre o forse il divino Sciacchetrà. Scendiamo verso il basso, strette fessure fra le case, scale a pioli dove qualche artista ha sostituito il piolo con lo scalino, un'ombra di uomo assonnato mi precede, ancora scale ripide, corrimano ci aiutano, incontriamo gente che sale affannata e ci guarda indifferente. Io, imperterrito, continuo con i miei "buon giorno" obbligando così la risposta. Scendiamo al mare, allo scivolo dove entrano o escono le barche, risaliamo il paese. Questo è un paesaggio verticale. Le case sono torri, con un massimo di due stanze per piano, salgono fra altre torri verso il cielo e sopra di loro hanno l'orto o il giardino, la pianta del limone. Fatto l'ultimo giro del paese, l'arrivo.
E' la terza volta che vengo a questa bella marcia e solitamente chiudo con sperticati complimenti. Quest'anno purtroppo devo astenermi. Caro Godani ci sono cose che non si possono tralasciare o lasciarle al caso. Siamo giunti all'arrivo e abbiamo trovato una lunga fila per poter ritirare la maglietta che rappresentava il premio di partecipazione. E va bene. C'era un'altra lunghissima fila per poter poi ritirare un piatto con dei dolci. E anche questo non lo approviamo, ma lo accettiamo, rinunciando a fare la fila. Non si può però accettare che chi arriva dopo una marcia del genere, dopo 18 o 25 km non abbia la possibilità di avere un bicchier d'acqua senza fare file di diecine di minuti. I dolci possono essere optional, un bicchiere d'acqua è necessità assoluta. Ma gli amici del PGS se ne saranno accorti e certamente per l'anno prossimo faranno in modo che questo inconveniente non si ripeta.
Andrea Bartalesi