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PERSONE GENEROSE IN VIAGGIO VERSO L'ISOLA DEI GIRASOLI di Loris Neri

28/09/2019

a cura di Andrea Bartalesi

Ricevo da Loris Neri e mi precipito a pubblicarlo
 
 
Ciao Andrea, ogni tanto mi faccio vivo con un messaggio per inviarti un mio viaggio podistico da pubblicare (magari) sul sito dell'Atletica Porcari La storia riguarda la staffetta Montecarlo-Pisa con gli Amici della Corri con Paolo.
So che Giusy e Giorgio l'aspettano con trepidazione.
Vorrei inoltre che a nessuno venissero le lacrime. Grazie, Loris.
 
 
Titolo: -Persone generose in viaggio verso l'Isola dei Girasoli-
La settimana precedente dormivo da favola e la frescura notturna mi tranquillizzava i pensieri. Poi era riapparsa l'afa pomeridiana e la notte antecedente ad una grande giornata si era resa complicata. Inoltre avevo preparato le nuove scarpe da corsa, ma l'assaggio del giovedì aveva fatto patire le pene dell'inferno ai miei poveri piedi. Dormire male e poco equivale a comparire nella forma peggiore la mattina seguente. Più somigliante ad un mostro preistorico che ad un podista. Avevo perfino anticipato il suono della sveglia, trovandomi subito arzillo come un gallo davanti a due galline. Ero salito in auto, deciso verso Montecarlo. Una piccola ma importante folla vestita di rosso mi attendeva. Tutti Amici di Paolo che sprizzavano gaiezza da ogni poro della pelle. Dopo lunghi scambi benevoli di parole e baci, la Grande Famiglia si era sistemata in piazza Carrara per la foto di rito. Con rispetto coglievamo le attese novità. Era settembre e non luglio. Sabato e non domenica. Inoltre la partenza era scaglionata: prima il reparto giovane, poi quello ciclistico, dopodichè i Top Runner, che a parte qualche defezione per problemi fisici o una maratona imminente, rimanevano folti. Tra questi c'ero anche io, ma se parlo di top, mi vengono in mente le classifiche musicali o la parte superiore di un vestiario sensuale femminile. Di certo non penserei al mio modo di correre. Alle otto tonde e precise come una luna piena, la Staffetta Corri con Paolo iniziava a muoversi. Urla, applausi e campanelli davano una svegliata a tutto il centro storico.
L'allegria non sarebbe mancata. In discesa era facile seguire i più forti e fino a Porcari pure a me pareva una sgambettata. Davanti allo stadio c'era il primo ristoro e il tifo dei nostri sostenitori si faceva più vivace. Noi corridori eravamo la squadra di questa famiglia. Vestiti di rosso come il cuore che partecipava e batteva forte. Bisognava attendere qualcuno. Paolo, che osserva tutto da un puntino lucente, c'invitava a fare in fretta. Voleva abbracciarci al più presto possibile. Il nostro treno si stava allungando. Automobili, ciclisti e podisti si divulgavano sulla strada che portava a Capannori. Qualcuno che c'incrociava ci salutava, forse erano solo curiosi. Nel piazzale davanti alla chiesa, il furgone bianco ci riempiva di coccole, dolcetti e tanta acqua fresca.
Altra foto di rito, questa esclusivamente (ma avevo notato un infiltrato) per juventini doc. L'aria era chiara e pulita. Un sabato mattina con l'oro in bocca. La compagnia era fantastica. Rimanevo indietro rispetto agli altri, ma intorno a me avevo sempre qualcuno a farmi parlare. In questa maniera avrei corso per giorni interi. Scorgevo volti nuovi e udivo voci mai sentite. Anno dopo anno l'abbraccio era aumentato di dimensioni. L'unione si era fatta più forte. La gioia di correre più intensa. Neppure il passaggio a livello ci avrebbe fermato. Noi con un colpo di gambe eravamo già sull'altra sponda. Correvamo su strada e verso la zona industriale di Carraia. A me mancavano alcune entità. Il bosco che amavo, lo sterrato della via Francigena, i sassi e le buche che mi distorcevano i piedi. Per me la corsa su asfalto era solo un ricordo di tempi più veloci (per modo di dire, dato che il cronometro era un orologio con tanti numeri e niente più) che riaffiorava solo nelle due occasioni legate alla Corri con Paolo. Poi riaprivo gli occhi e guardavo i miei compagni. Mi godevo la simpatia, il sorriso, la voglia che non potevo trovare, quando ero solo. L'unione fa la forza e l'amicizia aumenta la potenza.
Più dello zucchero, più del cioccolato. E portava acqua da bere, perché era indispensabile. Un poco mi demoralizzavano i biker, quando citavano i chilometri (tanti) ancora da fare. Come una spazzolata sulla lavagna da parte di una maestra generosa, la città scompariva e appariva la campagna. Le strade diventarono più strette, più isolate, meno rumorose. Le fabbriche si erano trasformate in casolari diroccati che parevano fermare il tempo al periodo di guerra. L'erba alta e i campi incolti mettevano tristezza. I batuffoli bianchi che chiamiamo nuvole e un campo azzurro trasformato nel cielo immenso ci riportavano la serenità. Parlavamo di mare, spiagge tranquille e montagne fresche riparate dal vento. Di un settembre da leccarsi le labbra e far schioccare la lingua. Nessuno, però, voleva in quei momenti allontanarsi da qui. Avevamo oltrepassato l'acquedotto del Nottolini e la leggera salita che portava a Vorno. L'ombra delle piante pareva ottimale anche per dilungarsi nei discorsi. A Badia di Cantignano, nei pressi della chiesa, l'aria diventava pure mistica. Un campo di girasoli stringeva stretto il gruppo in una fotografia che sembrava scattata ad un'orchestra musicale adagiata sul palco all'interno di un teatro magico. Io n'ero fuori, fermo a rinfrescarmi. Osservando il gruppo, la mia testa pareva riempirsi di note lievi e dolci vocalizzi. La volevo anche io una foto così bella e mi ritrovai come un girosolo a guardare il sole brillare sopra di me. Altro superamento di una zona industriale e la frescura si stava tramutando in calura. Stranamente indossavo ancora la maglietta. Era perfino poco sudata. Il che significava una mattinata perfetta.
La direzione della carovana portava verso un tratto pessimo. Io restavo molto indietro rispetto agli altri. Non ero mai solo grazie ai ciclisti che mi seguivano, ma questo pezzo l'avrei evitato molto volentieri. A questo punto pensavo molto a Paolo, che, quando transitava di qua, soffriva molto più di me. Lui andava a curarsi, io al confronto, mi stavo divertendo. Era la mia forza nei momenti di crisi. La mia stanchezza e le gambe dure non potevano essere paragonate al male che bruciava in lui lungo questo tragitto. Era come se io dicessi <> Alla stessa maniera ciò riportava agli ultimi mesi della mia famiglia con la vita di mio padre. Lo accompagnavamo a Firenze per la sua terapia. Erano viaggi tristi. I mali non rispettano l'età, la specie sociale, le lingue, le religioni. Ognuno potrebbe soffrire le pene dell'inferno per una malattia che ti divora dentro. E correre, sembra una sciocchezza, aiuta anche a ricordare i nostri cari morti, ma non a pensarci male. Io lo accoglievo come vigore attivo. Arrivavo così, come un vincitore, a Santa Maria del Giudice. Il gruppo mi stava applaudendo. <>
L'ho invocato, mentre tua madre mi passava un pezzo di torta. Era buonissima. Senza dubbio sarebbe piaciuta anche a te. Un'altra fontanella da Patrimonio dell'Unesco e il sole che iniziava a lanciare raggi che sembravano palline d'acciaio scagliate da una fionda. La Statale era caotica e quella tinozza che chiamavamo il Foro pareva senza fondo. Il suo interno era un aeroporto. Ecco, avevo trovato il paragone giusto. C'era chi entrava, chi usciva e le auto parevano decollare come gli aerei. Il rumore faceva vibrare la testa, l'aria degli aspiratori faceva rabbrividire come se fosse gelata. Accanto a me avevo un angelo custode in mountain bike. Uscivamo ed io m'infilavo, dietro ad Enzo, giù per il sentiero. Due passi e lo vedevo rotolare in terra. <> gli dissi. Due secondi ed era già in piedi. Pronto a ripartire più vivace di prima. Lui scappava via. Io rimanevo col mio passo felpato da trottolino spaventato. In questo tratto, falciato l'ultima volta forse negli anni settanta, sembravo rallentato come uno immerso nelle sabbie mobili fino alle ginocchia. Il prato (immagine fin troppo benevola, più sensata sarebbe citarlo come campo dimenticato) dell'Anfiteatro era in fermento. Eravamo giunti nel luogo dove si poteva creare il simbolo da dedicare a Paolo. Per le speranze servono sorrisi. Degli smiles, facce sorridenti da inviare lontano. Il sole coceva, l'erba (la paglia) pungeva, ma le braccia si alzavano senza timore. Occorreva un drone, ma Giorgio e Marco si allungarono fino in cielo per scattarci la foto. Paolo stavolta era lì. Dentro quell'enorme faccia, seduto accanto a noi. Le nostre mani alzate lo stavano salutando. Lo avevamo invocato e lui, prima era sicuramente disteso sotto gli ulivi che circondavano l'Anfiteatro, aveva atteso noi. La sua famiglia gli era a fianco. I suoi amici stavano con lui. Chi non l'aveva incontrato di persona era venuto qua per lui. E per tanti bambini a cui portare un regalo importante. Un mazzo di soldi. Il ricavo di tante buone azioni. Senza di quelli, purtroppo, non si va da nessuna parte. Una bella bevuta ed ero pronto a ripartire.
Davanti a me, otto chilometri d'ardore. Sotto il sedere, due gambe che parevano paletti di marmo. Da questo istante si creava la differenza tra un maratoneta vero e un Flop Runner (termine non mio, ma preso in prestito) come me. Il corridore scappava, io tentennavo. Conoscendo i miei limiti, ogni passo in più diventava vittoria. Fino ad Asciano direi bene e la fontanella d'acqua mi era apparsa un'oasi. L'acquedotto era una meraviglia per gli occhi. Non volevo voltare le spalle e osservare quei monti che soffrivano ancora. Con la coda degli occhi avevo intravisto lo squarcio. Come fuoco che ardeva sempre. Fissavo la strada e le scarpe di Massimo. Dietro di noi, gli angeli custodi. Una nuvola di polvere, smossa da chi ci precedeva (quelli forti, quelli partiti da poco, almeno otto biciclette) circolava a mezz'aria come se fosse il nastro arancione da acchiappare al volo nei calci in culo. Più avanzavamo e più la nuvola (il nastro) si allontanava. Serviva una spinta più decisa. Ma parlare di decisione dopo aver corso, seppur con tutta la calma dell'universo, trentacinque chilometri, era simile ad andare all'Oktoberfest e bere gazzosa. <> borbottava felice Massimo, <> <<Ok. Mi fido del tuo consiglio>> Gli dicevo.
E ripresi anche a sorridere. Sentivo la musica di una cornamusa. (Perdonate la mia ignoranza in materia, adoro la musica ma non percepisco la differenza di suono tra alcuni strumenti. Non sono così scemo se devo distinguere il suono tra un pianoforte o una chitarra, ma tra una cornamusa o qualcosa di simile ho alcune difficoltà.) <> Ero stupefatto, ma da persone come Cathy, Umberto o Gabriella, potevo aspettarmi qualsiasi cosa. Forse per la decima edizione anche Usain Bolt ad unirsi con noi podisti o Peter Sagan in mountain bike. Non sarebbe male, anzi ne gioverebbe persino l'Agbalt. L'artista era un suonatore solitario e stava illuminando il nostro spirito uditivo. Io rifiatai e bevvi a pieni polmoni. Le abitazione erano vicine e il rettilineo infinito stava terminando. Mi aggregai a Sara. Poi, saltellando da un marciapiedi all'altro e svincolando tra le rotonde, arrivai sopra il tratto finale sulla pista ciclabile di via Giovannini. Ero in condizioni pietose. Da quasi due anni non superavo i trenta chilometri. Il gruppone ci stava aspettando da un po'. Io, Sara e i tre ciclisti eravamo gli ultimi. L'abbraccio finale avrebbe coinvolto tutta la strada di Ghezzano. Formammo due file di persone. E la conclusione davanti al parcheggio dell'Isola dei Girasoli fu per un'altra volta assai emozionante. Da Montecarlo erano trascorse più di cinque ore. Sotto le nostre gambe furono stampati trentotto chilometri. E la temperatura toccava i trentadue gradi. Ben quindici in più rispetto l'inizio. Davanti a quella generosa palazzina mettemmo in evidenza i quattro assegni. Le nostre dita si indirizzarono verso quelle finestre. Dietro ai loro vetri, in quelle stanze, vivevano famiglie, sofferenze e speranze. Nel rispetto dell'ambiente, per mia richiesta, furono lanciati solo tre palloncini.
Subito dopo, entrammo nel salone adibito ai giochi e alla ricreazione. Avevano allestito un ottimo ristoro. Pasteggiando e bevendo, mi sedetti all'aria aperta. Il vento fresco asciugava il sudore. Stavano ritornando pure le forze e i muscoli dei polpacci di Massimo rimbombavano come cuori pulsanti. Mi cambiai sull'erba e aspettai Alessandro e Michela (ops, sotto le dita mi stava sfuggendo Martina) con i loro due figli sempre più sportivi attivi. Il viaggio di ritorno fu colmo di ricordi e chiacchiere. Ma quanto avrò scocciato? Gentilissimi all'inverosimile, mi portarono in piazza d'Armi. Fu faticosissimo scendere dalla macchina. Le gambe parevano mordersi a vicenda, le ginocchia emettevano tetri scricchiolii e il sedere pareva un mattone indurito nel forno. Ritirai l'auto di mia moglie e raggiunsi il gruppo nella casa paradisiaca di Cathy. La generosità e la bontà non aveva termine. Mettere piede qua, sentire il vento che arruffava i capelli, osservare il tremolio tra le luminescenze sull'acqua della piscina, mangiare da favola, bere con piacere, parlare e ascoltare con desiderio, voltarsi e trovare un sorriso, girarsi e vederne un altro. Ammirare Cathy che scattava ancora foto, mescolarsi tra la gioventù degli Amici di Paolo (quelli veri), ridere con Giorgio e a Giusy, tutto quanto era a disposizione. Il giorno si era allungato e non voleva terminare, ma anche i fatti più piacevoli incontravano la parola fine. Ci stavamo salutando come facevamo da bambini, forse dopo le feste natalizie vissute in compagnia davanti al grande tavolo apparecchiato, la pasta fatta in casa, al camino e ai pacchi regali, quando dopo lasciavamo i nonni ai loro doveri, ai ricordi e ai giochi con le carte.
Nel scambiarci un bacio e una stretta di mano, Giorgio, con gli occhi brillanti, mi sussurrava <> Questa domanda mi riempiva d'emozione. Avrei voluto una tastiera per battere subito milioni di parole. Che spesso non bastano a raccontare tutto.
Si dimenticano molti sentimenti e la frase giusta magari scappa. Il cuore caldo non sempre si riesce a descrivere. <<Certo!>> Per me sarebbe il minimo per ricambiare tutto l'affetto ricevuto in una giornata come questa. Vasco Rossi negli anni ottanta incise Vivere una favola e con una musica bellissima il testo diceva: "Guarda, guarda là, guarda la città. Quante cose che, sembrano più grandi sembrano pesanti. Guarda quante verità, quante tutte qua. Quante, quanti che corrono felici, guarda nei prati…"
Ecco, nonostante quelle parole potessero raccontare altre situazioni che Vasco conosceva bene, io quelle corse e quei prati li ritrovavo grazie a questa Famiglia Ingrandita. Magari vestito da pagliaccio. Con loro ogni anno gira e dura dodici mesi. Due tappe sono importantissime: in aprile la Corri con Paolo, aperta a tutti; in estate, la nostra Staffetta da Montecarlo all'Isola dei Girasoli. Ogni anno tutte queste persone attendono e regalano di più. Pensando a Paolo, che ci manca e non lo vede.
Loris Neri
 
alcune foto di Marco Matteoni
 
 
 
 
Loris Neri l'autore dell'articolo.
 
Andrea Bartalesi