Eccoci al secondo capitolo. Ragazzi come passa veloce il tempo!!
Attilio guardava intorno, muovendo le braccia per cercare di neutralizzare l’umidità
del mattino: vide il figlio di Ela che si avvicinava. Lo stava guardando e lui volse lo
sguardo. Quel ragazzo voleva sapere, si vedeva bene da come gli girava intorno.
Voleva conoscere i fatti come un ragazzo curioso della vita. Quei fatti gli sarebbero
serviti a dare un significato alla parola “guerra”, avrebbero consentito di capire un
reduce.
Ma lui, Attilio, come avrebbe potuto raccontare? No, era troppo presto. Forse poteva
raccontare di come ci si sente prima di un ordine che sta per arrivare? Un ordine dato
da superiori ai qua li non si può non obbedire? Si può raccontare di come la grappa
scivolasse lungo una gola fredda e assetata di tutto?
L'alcol ti scaldava e ti esaltava, ti dava il coraggio di osare, di essere incosciente.
Incosciente perché era impossibile buttarsi fuor i dalle trincee con un fucile in mano,
una baionetta innestata, buttarsi oltre reticolari che in molti casi le artiglierie non
avevano distrutto, per errori di alzo o per le nebbie, contro un fuoco di mitragliatrici,
sopra corpi di compagni, di uomini, com unque, anzi buttare i cadaveri di questi sui
pungiglioni del filo spinato, a mo' di ponte.
E calpestare quelle divise sporche, lacerate, piene di resti umani. Dimenticare di
come quei corpi fino a poco prima portassero in giro un’anima, ricordi, progetti,
ambizioni, vizi. Ogni corpo, una vita, una storia e loro, calpestandoli, dimenticavano
tutto, quasi annientandoli, come se la dignità del vivere fosse svanita nel momento
della pallottola in pieno petto, o quando una lama aveva lacerato le viscere cerca ndo
di salire fino al cuore.
La voglia di fuggire, di correre fino a che uno ha fiato, la sopravvivenza, la fuga
dall'orrore, dalla paura. E solo per un attimo il guardarsi indietro, vedere che nessuna
fuga era possibile. Ogni metro che lasciavi dietro d i te lo avevi guadagnano anche per
una sorta di fortuna, per un qualcosa difficilmente ripetibile.
Come poteva dire tutto questo a suo nipote?
Il tornare indietro sarebbe stato sfidare ancora di più il fato. Quello che c'era oltre il
masso che stava fra te e l'orizzonte lo potevi immaginare, ma potevi sempre farlo in
positivo. Quello che era dietro, quello che avevi superato, lo conoscevi benissimo.
Ci dovevi pensare prima Attilio, ti dovevi rifiutare, insieme a Giusto a Cosimo a
Enzo a Calandrino, dove vi gridarlo forte in faccia a quei baffuti generali che parlavano
allungando le vocali, a loro lo dovevate gridare. E ai carabinieri che fucilavano coloro
che erano chiamati disertori. Ma come potevano definire un uomo disertore se solo
non voleva morire? Perché il destino di ognuno in quei giorni era morire, cambiava
solo il modo, solo un piccolo dettaglio, il destino di ognuno era segnato, accanto ad
ogni testa già nell'aria c'era una croce.
“Potrei raccontargli di quando partii soldato, di come non compr
endevo nessuno.
Parlavo solo con quelli che venivano da Lucca, gli altri non li capivo. Mi parlavano a
lungo, vedevo i loro occhi, cercavo di intuire i loro discorsi, ma non li capivo. Capitava
di parlare nell'attesa per ore, sentivo la cantilena veneta o l'aspra pronuncia di altre
regioni, ma mi rendevo conto che sentivo solo il suono delle parole che diventava
musica e mi faceva compagnia. Quella musica sostituiva delle parole che conoscevo,
quello che significava era la stessa cosa che dicevo anch'io, di come avrei voluto
essere a casa, stare con la moglie accanto al fuoco, mangiare quel poco che avevamo,
mi sognavo i "gallonzori" colti alla Ralla, il caldo del mattone che portavo nel letto.
Forse loro non portavano un mattone, chissà".
"Non ho mai pensat
o che anche loro non mi capivano e se qualche volta mi ha
sfiorato la mente, pensavo che questo fosse per colpa loro, perché non parlavano
italiano ma dialetto. Non ho mai saputo che anch’io parlavo una lingua che non era
capita. Che Italia bimbo, che Ital ia! Un’unione di genti che non si capiscono! I siciliani
con i loro occhi socchiusi che ti guardavano diffidenti, nomi di paesi dal suono
incredibile perché l'Italia è piena di paesi, di posti, di monti, e noi che si guardava le
Pizzorne come se dietro ci fosse un altro mondo!"
"Bimbo è inutile che tu mi guardi, non posso dirti niente, lo farò quando sarai più
grande, quando capirai, quando parlare di uomini che non avevano più niente di
uomo, sarà per te comprensibile. E allora ti dirò tutto e lo ricorder ò fino a quel giorno
perché tu devi saperlo. Devi fare tutto quello che potrai perché un tuo figlio non debba
vivere quello che io ho vissuto. Non è un fatto di essere eroi o vigliacchi, di amare la
vita, di dimenticare chi ti sta' aspettando a casa. Ma qu ando qualcuno nell'umido e
nel freddo della trincea tirava fuori una foto spiegazzata e piangeva, tutti ci
sentivamo lo stomaco pieno di vuoto e piangevamo come solo chi è derelitto sa
piangere."
Ci sarebbe stato un domani per raccontare, da uomo a uomo, m
a Attilio non sapeva
che il ragazzo, cresciuto, sarebbe stato distratto dai sogni giovanili, dagli svolazzi
della fantasia e se la curiosità fosse sopravvissuta e tornata, forse sarebbe stato
troppo tardi.
(foto d'epoca di proprietà della Tribuna Illustrata )
4
Attilio sotto il grande platano piangeva. Piangeva un pianto silenzioso: le grosse
lacrime si confondevano con il chiaro dei suoi occhi e solo un ritmico tirare su con il
naso e il gesto di passare il dorso della mano destra quasi ad asciugarne il fastidio,
lasciava capire la sua commozione. Ogni ta nto con la grossa pezzuola, che cavava
dalla tasca destra, tamponava le lacrime che annebbiavano gli occhi, che scorrevano
lungo le guance.
La commemorazione andava avanti, i discorsi, le parole non arrivavano a lui, solo
una musicalità mormorante interrot ta ogni tanto dal suono della banda, dal suono
della tromba.
Questi suoni non riuscivano a coprire il rumoroso silenzio dei suoi ricordi. Ricordi
che ormai facevano parte del suo essere, non occorreva richiamarli, erano parte di lui,
si accendevano al mome nto in cui apriva gli occhi, erano presenti anche quando
dormiva sotto forma di brutti sogni. Erano la sua essenza stessa, come l'alcol che si
era impossessato del suo fisico e che sembrava l'automatico antidoto ai suoi pensieri.
L'uomo Attilio, quello imp aurito che era montato in treno quel mattino per andare in
guerra si era trasformato e l'odore dei combattimenti non si poteva lavare con mille
bagni o tuffi nella Ralla o nella Fossanuova. Restava parte di lui, sarebbe sparito
insieme con lui.
Quando la b
anda, finito il brano, si sciolse, i vari personaggi, dopo un breve saluto,
se ne andarono alle loro case, chi togliendosi la fascia, chi guardando il proprio
cappello, sistemando ancora una volta la penna nera.
Attilio, passò ancora una volta la pezzuola
sugli occhi e si soffiò il naso
rumorosamente. Poi prese la bicicletta appoggiata al platano e prima di alzare la
gamba per inforcarla, come ricordandosi improvvisamente, si volse verso Tullio.
Anche il ragazzo stava fermo sulle gambe, sembrava attendere ancora. Il nonno,
appena messosi a sedere sul sellino, disse:
“Perché non vieni a trovarmi uno di questi giorni?”
Andrea Bartalesi
il terzo episodio lunedi 23 novembre